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martedì 21 luglio 2015

Il Papa e la classe media

 
Continua a far discutere l’enciclica di papa Francesco Laudato si’, con interpretazione anche radicalmente divergenti. Qualche settimana fa un rigido sostenitore del liberismo economico come Carlo Lottieri ha scritto sul Foglio che il documento papale non è soltanto “un’enciclica ‘ecologista’ seppure sposi l’armamentario concettuale dell’ideologia verde, perché essa va oltre e mette sotto accusa quanto vi è rimasto di liberale nelle nostre società: a partire dalla proprietà e dalle relazioni di mercato”. E’ un’accusa grave, tuttavia non priva di effettivi punti di appoggio. Bisognerebbe, però, avere sempre presente quella che è la dottrina sociale della Chiesa che non coincide, fin dai tempi di Leone XIII e della sua Rerum Novarum,né con lo statalismo economico né con il liberismo economico duro e puro.
L’enciclica di Bergoglio è piena di riferimenti a questa dottrina e anche alle prese di posizione dei suoi predecessori: l’attuale papa non è certamente un comunista e tanto meno un marxista, ma indubbiamente non ha una particolare simpatia per il capitalismo liberale, specialmente nella sua versione finanziaria, al quale imputa un degrado ambientale che non si riferisce soltanto all’ambiente naturale, ma anche alla qualità dei rapporti umani e a quelle che egli considera evidenti iniquità sociali, squilibri fra ceti e aree del pianeta. La sua simpatia per gli umili e gli emarginati ha le sue radici nel Vangelo, interpretato forse con qualche forzatura sociologica che ricorda la cosiddetta teologia della liberazione verso cui era stato, invece, molto severo Giovanni Paolo II.
Sull’aereo che lo riportava a Roma, dopo il viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay, il papa ha dichiarato, più o meno scherzosamente, di avere “una grande allergia per l’economia” e ha aggiunto che la sua apertura verso movimenti popolari anche molto laici è soltanto “un fatto catechistico”, nasce dalla sua volontà di far conoscere la dottrina sociale della Chiesa perché venga applicata alla loro situazione. Ma questa stessa dottrina vale anche per l’impresa poiché è sempre rivolta, in ogni settore, a rivendicare il primato della dignità della persona su ogni calcolo economico o progetto tecnocratico.
Ma poi, di fronte a una obiezione giornalistica, ha dovuto ammettere di essersi molto occupato dei poveri che sono “il cuore del Vangelo”, ma di avere trascurato la classe media, che pure, diciamo noi, è la spina dorsale delle democrazie e che, negli ultimi anni, è entrata in gravi sofferenze. Questo mi pare il punto debole non teologico (su questo lascio la parola a teologi e biblisti), ma sociologico-economico dell’azione pastorale dell’attuale pontefice. Così come appare discutibile una certa svalutazione del sapere tecnico-scientifico e un innegabile cedimento a molte mitologie dell’ambientalismo apocalittico.
La classe media impersona, almeno nelle nostre società, quello spirito imprenditoriale, quella voglia di migliorare le proprie condizioni di vita che sono insostituibili nel processo di creazione di nuova ricchezza
Ogni discorso sulla giustizia sociale e sull’equità, ogni realistica e non velleitaria politica redistributiva, ogni effettivo aiuto ai poveri, passano necessariamente attraverso la voglia di fare e di migliorare per sé e la propria famiglia. Mortificare questi desideri, considerare chi si arricchisce con il proprio lavoro offrendo lavoro anche agli altri come un profittatore da castigare magari con un oppressivo regime fiscale, non mi pare che sia la giusta strada verso la carità che sta tanto a cuore al papa
Francesco ha detto che approfondirà il problema e si è rammaricato di averlo un po’ trascurato. Speriamo che non siano semplici parole di circostanza.

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