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venerdì 9 ottobre 2015

Se Berlusconi e' colpevole di ricchezza

Credo che quando un domani si farà la storia di questi nostri tempi tumultuosi un elemento verrà alla luce in modo inequivocabile: non semplicemente la “deriva giustizialista” della nostra vita civile, quanto più radicalmente l’erosione, fra l’indifferenza dei più, del senso stesso dell’idea di diritto. Per capirlo, occorre fare molta attenzione ad un elemento spesso trascurato: il testo delle motivazioni depositate dai giudici mesi dopo i giudizi in tribunale, allorquando per lo più la notizia è stata mediaticamente già consumata e ha spazio al massimo in una breve di cronaca. 
Leggendo con attenzione queste motivazioni si ha in molti casi la sensazione, anzi la certezza, che gli operatori di giustizia abbiano ormai virato verso una concezione sostanziale del diritto. Una concezione, per intenderci, completamente opposta a quella formale che è propria delle democrazie occidentali moderne, le quali giudicano con puntualità i fatti, cioè i reati, e con altrettanta puntualità li imputano agli individui e li traducono in pena.
Giustizia sostanziale era la giustizia premoderna. E giustizia sostanziale è stata, in maniera ancor più radicale e persino “scientifica”, quella espressa dai regimi totalitari del secolo scorso. Una giustizia che non si limitava a giudicare i fatti ma voleva, attraverso le sentenze, correggere le idee, vendicare presunti torti, fare pedagogia (“colpire uno per educarne cento”). Venendo all’oggi, non è un caso che i protagonisti della deriva sostanzialistica della nostra giurisprudenza siano l’ampia fetta dei magistrati politicizzati e ideologizzati che, coccolati per anni dalla sinistra politica, erede di uno dei due più feroci totalitarismi del secolo scorso, ne hanno prima rappresentato una sorta di “braccio armato” in procura e ora hanno la pretesa di dettare alla stessa sinistra la linea politica a tutto campo.
Le sentenze con cui questi giurati si esprimono, e comminano pene politicamente orientate, sono una sorta di trattati à la carte: di sociologia, di economia, di politica industriale (pensate un attimo al caso Ilva o a quello delle presunte tangenti Eni in Nigeria), di psicologia (vi ricordate il “carattere levantino” che veniva imputato dalla Boccassini a Ruby?). Esse sono, in una parola, uno sfacciato strumento di lotta politica
L’ultimo clamoroso esempio è la motivazione della sentenza, depositata due giorni fa, con cui i giudici partenopei condannarono, nel luglio scorso, Silvio Berlusconi per una presunta compravendita di senatori nel 2008
A gestire l’operazione, che si concretizzò nel passaggio di Sergio De Gregorio nelle fila berlusconiane, fu Valter La Vitola, allora direttore de L’Avanti. Il quale avrebbe, secondo l’accusa, convinto De Gregorio utilizzando denaro proveniente dalle casse dell’ex Cavaliere, condannato anche lui per questo motivo. In base a quali prove? Nessuna, solo supposizioni. Nessuna, anzi, se non quella che, essendo egli “notoriamente” ricchissimo, avrebbe potuto permettersi di pagare una cifra. 
Ove quel “notoriamente” è sintomatico di un’idea di “giustizia popolare”: è la vox populi non la “verità” emersa nell’indagine e nel dibattimento che stabilisce ciò che uno è e può. 
Da qui una serie di considerazioni, da parte dei magistrati, pregne di invidia sociale e di odio per la ricchezza. 
Quasi a saldare i conti con quell’ideologia egualitarista che ha motivato da sempre la politica di sinistra
In spregio ad ogni norma di buon gusto, e soprattutto ad ogni norma di comune civiltà del diritto, i giudici napoletani personificano in Berlusconi il Dio Mammona, tanto ricco che per lui, scrivono, tre o cinque milioni di euro sono suppergiù, fatte le proporzioni, “il costo di una cenetta fra amici” (sic!). 
E provano ad immaginare persino, senza tema di cadere nel ridicolo, il momento in cui “il ricchissimo Berlusconi” (quasi come la ricchezza fosse di per sé colpa e reato) paga “con sprezzo” De Gregorio tramite La Vitola. 
Il vero sprezzo è però quello che viene fatto quotidianamente alla civiltà del diritto da giudici di tal fatta. Irresponsabili e impuniti. Anzi impunibili, visto che il CSM più che un “organo di autogoverno”, come da Costituzione, è un organo di autoinsabbiamento.

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