Powered By Blogger

martedì 26 giugno 2012

Diffondere la lingua italiana in maniera appropriata.


 In un articolo pubblicato sul “Corriere della Sera” del 22 marzo, Cesare Segre, filologo e critico letterario di levatura internazionale, e’ stato esplicito: “La questione della lingua e’ una scelta di civiltà”, l’umanesimo italiano rischia di diventare “suddito dell’inglese”, quindi si auspica una forte “difesa dei valori”. Segre ammette che, a differenza di quanto accade in altri Paesi, in Italia la conoscenza delle lingue straniere e’ molto scarsa. Basta sentire gli annunzi fatti nelle stazioni, nei treni o nei mezzi pubblici, per rimanere sconcertati. Il problema per Segre e’ la traduzione di una lingua ad un'altra. Tradurre frasi di tutti i giorni, piu’ o meno, e’ abbastanza facile a tutti. Quando si tratta pero’ di tradurre “testi umanistici” diventa molto difficile e complesso ed lo e’ ugualmente quanto si tratta di testi scientifici o tecnici, non si può tradurre parola per parola, ma frase per frase. Ma non bisogna, soprattutto, ignorare che ogni lingua ha una sua “specifica storia”. Tradurre significa “mettere a confronto” culture diverse e ci può riuscire soltanto una persona che abbia “profonda conoscenza” delle due culture. Infatti, ogni lingua “esprimere il pensiero” in modo diverso dalle altre ed ecco perche’ bisogna avere una “piena conoscenza della cultura” del Paese di cui si vuole imparare la lingua. Bisogna ammettere che l’introduzione di corsi insegnati in inglese nelle università italiane e’ essenziale, in molti casi, poiché quella e’ la lingua “franca” che viene usata ormai ovunque nel mondo. Per lo studente di fisica, di ingegneria e di economia internazionale, italiano o straniero che sia, l’inglese e’ diventato la lingua parlata nei convegni e scritta nelle riviste. Ma e’ “demenziale”, oltre ad non essere “efficace”, insegnare in inglese a studenti stranieri “corsi” di letteratura, di storia dell’arte e di filologia italiana. E’ ovvio che in questi casi la conoscenza della lingua e della cultura italiana e’ “indispensabile”. E se risulta insufficiente, va migliorata con corsi “specifici”, come già si sta facendo in molte universita’. La “smania” della diffusione dell’inglese a tutti i costi non deve andare a discapito “dell’umanesimo italiano” che ci distingue e ci fa essere “unici”. Quindi, l’unica strada da percorrere e’ “potenziare i corsi d’italiano” differenziando l’insegnamento per gli economisti, per i giuristi, per i filosofi ecc. che non utilizzano la stessa “terminologia”. E’ esattamente ciò che stanno facendo francesi e tedeschi, ma anche i cinesi. A Pechino ci sono grandi dipartimenti di italiano in cui i docenti insegnano la nostra lingua “differenziandola” a seconda di quale specializzazione gli studenti cinesi vogliono prendere. Il nostro “umanesimo” diventerà suddito dell’inglese soltanto se non riusciremo a diffondere l’italiano all’estero “in maniera appropriata”. La scarsezza di fondi economici e’ un “sciocco alibi”, e’ essenzialmente una questione di “metodo” e di “qualità” degli insegnanti.

Nessun commento: