La cosiddetta “salita in campo” di Monti, in realtà, e’ avvenuta più di un anno fa, quando Silvio Berlusconi ha fatto un passo “laterale” affinché l’Italia, vittima dell’imbroglio dello “spread”, non finisse nell’occhio del ciclone della speculazione. Ora che ci siamo abituati a convivere con gli alti e bassi dello “spread” si può comprendere quanto esso sia stato uno “strumento politico” contro il governo Berlusconi. Berlusconi, per la sua autorevolezza, non e’ amato da certe segreterie europee che vogliono, come hanno ottenuto con Monti, un governo italiano “prono” ad un’Europa “germanocentrica”. Lo “spread” nel giugno del 2011, prima che la Deutsche Bank annunciasse di essersi liberata dei titoli pubblici italiani, era di 120 punti. Poi e’ salito fino a raggiungere quota 500, determinando la “crisi” del Governo Berlusconi. Successivamente esso calò a quota 270 agli inizi del 2012 grazie all’intervento della Bce di Mario Draghi, che aveva prestato soldi a tassi minimi. Ma fu una quotazione temporanea, perché l’effetto di tale operazione svanì facendo salire lo “spread” a quota 500. Ma questa soglia non determinò alcun esito negativo per il governo Monti e dei suoi “professoroni”, a dimostrazione del fatto che l’indice finanziario non fosse poi più così esiziale per le sorti del Paese come era stato fatto credere quando a governare c’era Berlusconi. Ci volle un altro intervento di Mario Draghi il 26 di luglio 2012 per riportare la situazione sotto controllo. In quell’occasione il Presidente della Bce annunciò di voler fare tutto il necessario per salvare l’euro e lo scudo “anti-spread” venne attivato e prevedeva l’acquisto illimitato di titoli dei Paesi membri Ue. Da allora l’indice, fra alti e bassi, si avviò ad un’irreversibile discesa, rafforzata ora dagli effetti benefici dell’accordo di Washington tra Repubblicani e Democratici sul “fiscal compact” americano. Se lo spread e’ calato, quindi, lo dobbiamo a Draghi e ad Obama e non a Monti che, “ipocritamente” cerca di accreditarsi il merito. Monti nel novembre 2011 ha trovato un’Italia “malata”, con le sue cure, tredici mesi dopo, la lasciata sul “punto di morte”. Nel senno di poi, alla luce di quest’ultimo anno di legislatura che si sta concludendo con la presentazione di una lista in nome di Monti, sorge spontanea una domanda. Ci si chiede se la scelta di Monti di “salire” in politica e candidarsi a premier fosse già maturata un anno fa oppure, se galvanizzato dalle lusinghe “interessate” delle cancellerie europee, l’abbia fatto per continuare ad essere “suddito” di un’Europa dominata da egoismi nazionali che di certo non hanno a cuore la crescita del sistema produttivo dell’Italia. La lista di Monti, in realtà, e’ un cartello elettorale che intende riproporre alla guida del Paese nient’altro un gruppo di parassitari tecnocrati, lobbies e vecchi arnesi della politica al servizio di un'Europa “germanocentrica”. Se consideriamo, inoltre, i compagni di viaggio che si e’ scelto, Casini e Fini, i peggiori professionisti della politica, scopriamo quanto “inutile” sia il progetto politico di Monti che a parole si professa “riformatore” ma che nei fatti e’ “piu’ vecchio della vecchia politica”. A Monti non basterà di sfruttare i meccanismi della legge elettorale per riprendersi Palazzo Chigi. La politica non è una scienza esatta. E poi “Chi troppo alto sale cade sovente precipitevolmente”.
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