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sabato 6 luglio 2013

Gli irresponsabili interpreti del vuoto concettuale.

 


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Ho guardato e ascoltato attentamente alcuni degli attuali governanti per capire “come mai” il livello culturale, di competenza, di coraggio politico e la visione culturale e storica siano così scadenti negli operatori che occupano i massimi livelli dei processi decisionali del Paese. La postura, il modo di parlare, la scansione delle parole, lo sguardo… e ho capito qualcosa. Sono attori. Sono maestri dell’arte di recitare la parte del personaggio autorevole e competente, di quello che sa cosa sta dicendo e che conosce le implicazioni di quello che sta dicendo. Il tono della voce deve essere grave. La parlata lenta e “intensa”, le parole scandite una ad una. Come se fossero effettivamente pensate o come se effettivamente rappresentassero un pensiero, un contenuto, una competenza. Che non c’è.
Se si ascoltano e analizzano le parole senza l’immagine della loro recitazione si capisce che non hanno significato, non solo non sono vere, non rappresentano nessuna realtà e se rappresentano qualcosa è l’immagina distorta della realtà. Dicono quello che loro vorrebbero fosse la realtà, ma che sanno benissimo che non è. Questo nei casi migliori. Perché in genere nella loro recita sono assenti sia la logica che il rigore semantico. Infatti la loro carriera, la loro formazione, gli studi sono avvenuti in un contesto che richiedeva solo quella capacità: di simulare una competenza su fatti e cose che sono lontane dai loro strumenti conoscitivi. Ripetono slogan inconsistenti all’analisi critica della loro sostanza. Ma li ripetono con toni e modi che simulano con finta serietà e convinzione la competenza, la conoscenza critica e fattuale.
Quando Letta torna da Bruxelles e dichiara la sua soddisfazione per misure che di fatto condanneranno l’Italia a ulteriore indebitamento lo fa con convinzione, serissimo, convinto: a fronte del vuoto di contenuto tutta la recita è tragicamente buffa. Ma pochi riescono a capirlo perché “i fatti” non sono disponibili al pubblico e i giornali, o gli attori televisivi dei talk shows non sono in grado o non possono spiegarli al pubblico e quindi si adeguano alla recita in una generale truffa mediatica. Quando Monti dichiara la sua soddisfazione perché dopo la riunione da lui richiesta il Presidente Letta ha preso atto della necessità di formulare un “quadro programmatico comune ai partiti della maggioranza” parla con “gravitas” lentamente. Come se dicesse cose importanti, vere, sostanziali. Conclude con le parole «…bene quindi, molto bene.» Ma in realtà non ha detto nulla. In particolare nulla che possa meritare il qualificativo di “molto bene”. Solo che dicendolo in quel modo gli ascoltatori e spettatori disinformati credono che siano cose importanti, vere… «un quadro programmatico comune» è una goffa e risibile figura astratta da qualunque realtà, per restare nell’eufemismo. In sostanza è una tragica barzelletta quando viene confrontata con la realtà delle dichiarazioni di tutti gli altri attori del teatrino che con uguale convinzione e “gravitas” dicono cose affatto diverse. O quando viene confrontata con i “fatti.” I fatti sono altra cosa.
I numeri della disoccupazione, i numeri delle aziende che falliscono o chiudono, di quelle che vanno in Croazia, in Bulgaria, in Cina o in Vietnam raccontano altre storie. Il disastro istituzionale delle nostre burocrazie fangose, lente, irresponsabili e sostanzialmente regolate da “paraculismo”. Il disinteresse degli “istituti” autoreferenziali per il cittadino, la barriera cartacea che viene imposta a chi vuole fare qualcosa. La crosta di resistenza che invita, spinge quando non costringe alla evasione, al falso ideologico, alla furbizia chi vuole sopravvivere nella giungla della inefficienza.
Questa realtà è quella che rende tragicamente ridicoli i discorsi “recitati” dai nostri consumati attori governativi. Quanto Letta scandisce, recitando la parte, la difficoltà di trovare compensazioni nel bilancio da 800 miliardi per coprire 4 miliardi di IMU o di IVA insopportabili per una economia asfissiata dal carico fiscale del 70% non è solo ridicolo. È offensivo per chi assiste allo scialo di miliardi di decine di enti inutili, alla puerile furbizia dei ladruncoli provinciali e regionali che si abboffano sui rimborsi spese assurdi a gruppi consiliari e a partiti (molti dei quali inesistenti) e a fondazioni di comodo e di privilegio. La “gravitas” del suo eloquio, la simulata serietà delle sue parole sono una offesa violenta all’onestà e al buon senso degli italiani che lavorano e che mandano avanti il Paese. Se gli attori governativi sono tragici, non da meno lo sono i loro sodali nei partiti.
I verbali degli interventi alla riunione della Direzione del PD sono un altro interessante luogo di riflessione. Pensate alle implicazioni della riflessione fatta da Bersani ieri: «Se facciamo congressi per cercare un leader quand’è che troveremo il Paese?» Oppure all’appassionata difesa del suicidio a “piccoli passi” fatta da Dario Franceschini. Oppure al serissimo statement di Finocchiaro «la Giustizia deve restare al di fuori del perimetro delle riforme»: enunciata come verità biblica, si tratta in realtà di una monumentale disonesta sciocchezza. Basta rileggerla due volte per rendersene conto. Riletta tre volte rivela la dimensione tragicamente e colpevolmente ridicola della cultura sulla quale si basa. «Perché ci sia un tiro al piccione, bisogna che ci siano piccioni», ha detto D'Alema, si riferiva Matteo Renzi, ma la battuta potrebbe avere involontarie più ampie implicazioni.
Se Sparta piange Atene non ride: nel centro destra si assiste alla decadenza del PdL subalterno a un leader unico oramai consumato dai media, dalle sue vicende personali e senza alternative credibili. La rifondazione di Forza Italia è solo un’altra tappa del declino. Su questo sfondo anche le dichiarazioni di Berlusconi, Alfano, Brunetta e Santanchè rivelano la mancanza di sostanza e il tenore di “recita a soggetto” che caratterizza tutti i dialoghi nel teatro politico italiano di oggi. Si sente la grande distanza di questa classe “dirigente” dalla realtà del Paese e dai problemi che gli Italiani sentono quotidianamente sulla pelle.

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