Bartolomeo Di Monaco
6 novembre 2013
Se volete un altro degli ennesimi esempi di malafede con cui in Italia si fa
la lotta politica (anziché il democratico confronto) osservate come è stata
fraintesa la frase
di Berlusconi:
«I miei figli dicono di sentirsi come le famiglie ebree in Germania
durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso»
Lo sciocco (politicamente parlando) Danilo Leva del Pd, subito prende la
palla al balzo e giù anatemi per lo scandaloso paragone. E poi si domanda (e qui
cascò l’asino) che cosa di questa dichiarazione pensa Angelino Alfano. La
strumentalità è sfacciata e palese. Se questa frase fosse scappata per esempio
ad un Bassolino perseguitato dalla magistratura e pochi giorni fa assolto e
riconosciuto innocente su tutta la linea, il Pd avrebbe subito diffuso un
comunicato di sostegno all’ex presidente della regione Campania, giustificando
il tutto con la forte tensione con cui Bassolino ha vissuto questo lungo periodo
in cui è passato come un ladro e un delinquente agli occhi della famiglia e dei
cittadini.
Berlusconi la cui persecuzione dura da 20 anni, invece, non lo si deve
capire. Poiché ha ricevuto una condanna definitiva e dunque è un delinquente con
tanto di certificazione, ciò che dice è frutto di una ragionamento lucido e
spietato.
Anche la comunità ebraica, sebbene più morbida, ha preso posizione
scandalizzandosi.
Tutto questo avviene a poche ore di distanza dal successo e dagli applausi
ottenuti in parlamento dal ministro della giustizia Cancellieri, la quale è
stata riconosciuta degna di mantenere l’importante dicastero non avendo trovato
niente di disdicevole nel comportamento tenuto in occasione dell’arresto della
famiglia Ligresti.
La quale Cancellieri alla famiglia Ligresti non ha detto di sentirsi
impaurita e assediata come lo furono gli ebrei tedeschi, bensì qualcosa di molto
più grave dal contenuto che non è difficile classificare come eversivo. Infatti,
alla signora amica che si lamentava all’altro capo del telefono dell’arresto
subito dalla famiglia, il ministro si permetteva di sottolineare che
quell’arresto (di cui probabilmente nemmeno sapeva i dettagli), non era giusto e
dunque ne metteva in dubbio la legittimità, accusando con ciò magistrati e
funzionari delle carceri.
Per questa dichiarazione il Pd, per bocca di Zanda,
non ha trovato di meglio da dichiarare in parlamento che: Continui il suo
lavoro.
Vediamo ora la frase di Berlusconi e vediamo se essa abbia un contenuto
eversivo quale quello che si rileva obiettivamente dalla trascrizione della
intercettazione indiretta della Cancellieri.
I miei lettori mi perdonino se
in questi giorni sono così pignolo, ma ciò dipende dal fatto che, come non era
mai accaduto nel passato, si stanno manifestando in numero notevole e con
frequenza sempre di più ravvicinata comportamenti che aiutano a capire che cosa
di terribile sta accadendo alla nostra democrazia, ormai alla deriva per colpa
di personaggi che fanno della menzogna, della arroganza e dell’ipocrisia i loro
strumenti privilegiati di confronto politico.
Dunque, ha detto Berlusconi:
«I miei figli dicono di sentirsi come le famiglie ebree in Germania
durante il regime di Hitler. Abbiamo davvero tutti addosso»
Qual è il senso di questa frase? Un paragone con il destino finale degli
ebrei tedeschi durante il Nazismo?
Chi lo ha pensato, a partire da Zanda e
anche dalla comunità ebraica, dimostra di aver peccato di superficialità e di
troppa fretta, pur di dare addosso all’avversario.
È lapalissiano e storicamente provato che milioni di ebrei hanno subito lo
sterminio in modi orrendi; e che particolarmente orrendo fu lo sterminio di
massa nelle camere a gas, ma davvero qualcuno ha potuto credere che la frase di
Berlusconi volesse accostare il suo sentimento di paura a quello di terrore
provato dagli ebrei trascinati a forza nei campi di concentramento e poi
rinchiusi nelle camere a gas per lo sterminio di massa?
Si vergognino costoro per essere arrivati a disumanizzare un individuo (si
chiami Berlusconi o Pinco Pallino) fino al punto di dare ad una sua frase un
significato così orribile e che nessun serio ermeneuta potrà mai avallare. Ho
repulsione e sgomento per l’uso così blasfemo che viene fatto della nostra
lingua. Quanta inadeguatezza e quanta approssimazione!
La frase di Berlusconi richiama il sentimento di cui erano preda gli ebrei
allorché si cominciò a respirare il marciume e la fiumana nazista che stavano
scavando il loro alveo in direzione del popolo ebraico. Gli ebrei non volevano
credere a questo, e ci sono tante testimonianze di ebrei nati in Germania i
quali stentavano a dar fede ai racconti che venivano loro narrati dai compagni.
Poi ci fu la famigerata notte dei cristalli e allora le voci che circolavano
sulla persecuzione a loro carico ebbe la prova certa, inequivocabile. Si cercò
di trovare riparo, ci si nascose nelle soffitte o negli scantinati, si visse in
molti in una sola stanza per mesi, con la paura che all’improvviso la porta si
aprisse e i tedeschi irrompessero gettandosi su di loro rozzamente e
violentemente.
È questa la paura denunciata da Berlusconi. Non la paura dei forni crematori
che gli ebrei nascosti nemmeno sapevano che esistessero, ma la paura di una
discriminazione che intuivano devastatrice e violenta.
Eppure di questa paura
la letteratura dell’Olocausto è colma, a partire dai diari di Anna Frank e di
Louise Jacobson.
Noto è il libro scritto da Anna Frank, meno noto l’altro che fu pubblicato da
“l’Unità” (Zanda dovrebbe conoscerlo) nel 1996 con prefazione nientemeno
che dell’ex rabbino capo della comunità ebraica romana, Elio Toaff, la cui prima
edizione era uscita in Francia nel 1992.
Da questo diario riporto uno dei
tanti momenti in cui appare una paura che non riguarda il destino finale, a quel
momento sconosciuto, ma lo smarrimento per una discriminazione di cui ancora non
si ha piena contezza:
“Alle tre del pomeriggio, nella sala comune dove io stavo parlando con gli
altri, arriva un uomo con una lista in mano. Oh, questo non me l’aspettavo di
certo; non pensavo che ci avrebbero portato via di lì tanto presto! Legge alcuni
nomi, c’è anche quello di Sourèle, ma non il mio. Senza un attimo di riflessione
mi getto su di lei e la stringo fra le braccia “no, non ci separeranno
mai!”
(omissis)
Dove stavamo andando e per quali vie, non lo sapevamo.”
Per marcare la differenza tra queste due tragiche testimonianze e un’altra
testimonianza, che è quella a cui non si richiama Berlusconi ma i suoi
denigratori, sbagliando segno, bisogna andare al libro “Sonderkommando”, di
Salmen Gradowski, l’ebreo addetto ai forni crematori. La sua tragedia sta nella
ormai consolidata sicurezza del suo destino (fu ucciso dai nazisti il 7 ottobre
1944).
È la paura di una persecuzione che non si riesce a capire quella contenuta
nella dichiarazione smarrita di Berlusconi. La paura che percuote l’uomo
Berlusconi è quella di un destino in cui compaiono mascherature orripilanti
prima sconosciute.
Nel prosieguo della sua dichiarazione Berlusconi ricorda anche la possibilità
della fuga suggeritagli tante volte e mai accolta, in quanto radicato in Italia
dall’amore per il Paese in cui è nato e ha dispiegato la sua vita, così come
accadeva all’ebro tedesco che respingeva il pericolo nazista con
l’autoconvincimento che anche lui era un tedesco nato in Germania come gli
altri. Un autoconvincimento che poi è andato a poco a poco risolvendosi nella
incredulità, poi ancora nella paura, e infine nella tragedia dei forni
crematori.
Berlusconi è un cittadino che si dichiara innocente, non dobbiamo mai
dimenticare questo dato fondamentale, da cui muove ogni suo sentimento. Pure lui
è stato incredulo di fronte ad un attacco così massiccio e carico di odio e di
parzialità (la sentenza Esposito insegna) da parte della magistratura ed anche
della politica. Lui che fino al 1993 non solo era stato onorato del titolo di
cavaliere del lavoro ma come imprenditore era stato additato ad esempio per
creatività e audacia. Poi dall’incredulità è passato alla paura. Paura per sé,
che, secondo il consiglio di amici, avrebbe dovuto fuggire dalla terra che ama,
paura per i figli suscettibili di pagare il peso di quella scomoda
paternità.
È lo stesso sentimento di paura, di insicurezza, di smarrimento, di
confusione che provarono gli ebrei nel momento in cui si cominciò a parlare di
persecuzioni nei loro confronti.
Quel tipo di paura non appartiene solo agli
ebrei, ma appartenne ai negri all’epoca orribile della loro tratta, a cui prese
parte attivamente perfino un grande poeta come Rimbaud.
È una paura che
appartenne e appartiene ai Pigmei massacrati periodicamente dai Bantù, agli Hutu
massacrati periodicamente dai Tutsi in Ruanda, e così via. Chi non ricorda il
massacro degli Hutu perpetrato a colpi di machete dai Tutsi.
Ogni uomo ha paura della discriminazione, e non è detto che questa paura deve
essere presa in considerazione solo quando attraversa masse di individui. Un
singolo cittadino quando avverte l’accanirsi su di sé di una discriminazione che
nasce da una dismisura di forze a cui non può reggere, è assalito da un
sentimento che in quel momento lo accomuna a quello di qualunque essere umano, a
qualunque epoca sia appartenuto, il quale si stia rendendo conto che una
catastrofe si sta abbattendo su di lui ingiustamente.
Il mondo è pieno, ahimè, di queste paure e guai a non riconoscerle e a non
rispettarle.
Nessun commento:
Posta un commento