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domenica 27 aprile 2014

25 aprile, la storia immobile

Passano gli anni, ma le commemorazioni del 25 Aprile si ripetono sempre uguali a se stesse. Bandiere, gagliardetti partigiani, canti e rievocazioni radiofoniche in cui le voci dei protagonisti si fanno di anno in anno sempre più fievoli, in un copione che mostra però una struttura immutabile, e la sostanziale parzialità delle ricostruzioni che si ripetono, sempre uguali a se stesse al di là dei lavori degli storici, nella vulgata avvalorata ciclicamente dai mezzi di comunicazione di massa. 
Così uno snodo importantissimo nel processo di affrancamento dell'Italia da un regime totalitario e dalla guerra civile diventa una specie di scoglio inamovibile e insuperabile per la costruzione di una più autentica e condivisa coscienza nazionale: la quale ha visto un contributo importante nell'azione spesso eroica dei non numerosi partecipanti alla Resistenza, ma ha finito per «costringerci» a dimenticare la realtà delle cose: il ruolo determinante degli Alleati, la realtà di un regime liberticida e odioso, certo, colpevole anche di aver voluto una guerra suicida, ma che era stato sostenuto da un'ampia base sociale; e la presenza di una sinistra altrettanto totalitaria, nella quale confluirono in poche settimane moltissimi esponenti della "destra sociale" fascista e repubblichina. Tutte verità dure da contestare, che si è preferito, nelle cerimonie ufficiali, mimetizzare dietro il velario della mitologia resistenziale. Ma così si è in qualche modo impedita una persuasiva elaborazione collettiva di uno dei passaggi più tragici e complessi della nostra storia recente
Il monopolio della verità è sempre nocivo e illiberale. Questo monopolio, che si vuole mantenere in piedi a costo di forzature, di voli retorici e di censure, è in fondo alla base della incapacità della sinistra postcomunista italiana di diventare moderna. Servirà forse per mantenere una sorta di «maggioranza ideologico-culturale» nel Paese, per rivendicare una discutibile «primogenitura» nella costruzione dell'Italia «liberata», per alimentare una sorta di «mito dei migliori». In fondo, la stessa proclamata differenza «antropologica» millantata dalla Sinistra per il suo modo peculiare di concepire la lotta politica trae spunto proprio dal mantenimento di questa tradizione. Ma a che prezzo? Una delle grandi sfide di Renzi – che come è noto appartiene ad una generazione ormai lontana da quelle vicende – sarà proprio quella di offrire l'occasione agli Italiani per elaborare una visione meno imbalsamata della Resistenza e della storia di quegli anni. È una sfida che dovrebbe interessare tutti gli Italiani, ma prima di tutto il suo partito, che proprio per voler mantenere questa sorta di «narrazione selettiva» della verità resta profondamente arretrato.
Marco F. Cavallotti

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