«Parliamo solo di cose serie: l’Europa, la crisi. Niente gossip e politica. La gente in questo momento mi pare interessata alle cose serie».
Cosa c’è di più serio dei nostri soldi: le banche, tutto il disastro è partito da lì? «Tutto ha avuto inizio nel 2008 negli Stati Uniti con la crisi dei mutui subprime, che subito dopo, di riflesso, ha investito le banche del Centro e del Nord Europa, le quali, essendo già da prima in difficoltà, avevano cercato di aggiustare i loro conti e i loro bilanci investendo su titoli ad alto rendimento ma anche ovviamente ad alto rischio, come quelli greci e spagnoli».
Come è stato gestito l’impatto della crisi dei subprime americani nel Centro e nel Nord Europa? «È stato operato il più colossale trasferimento di ricchezza dalle tasche delle famiglie ai forzieri della speculazione. Il trasferimento è passato dai bilanci pubblici degli Stati, per arrivare alle “banche sistemiche” che hanno così trovato i mezzi finanziari per pagare le controparti speculative».
Non bastava questo: era necessario anche il bail-in, la legge Ue che prevede che siano i risparmiatori con i loro conti corrente a tappare i buchi delle banche? «Non potendo più usare i soldi dei contribuenti, si è pensato di usare i soldi dei risparmiatori. Questa è la base di pensiero che ha ispirato il bail-in».
Però il bail-in l’hanno votato tutti, Italia compresa: i governi Letta e Renzi non sapevano quello che votavano? «Mi permetto di segnalarle che contro il bail-in non solo ho scritto definendolo come un mostro europeo in arrivo, ma ho anche votato in Senato. Altri hanno votato diversamente. Il bail-in è comunque una regola demenziale: è come se per fermare uno che guida come un pazzo, anziché abbassare il limite di velocità, gli si alzasse il costo della polizza Rc auto, con il particolare che l’Rc auto non la pagano i guidatori ma i risparmiatori».
Cosa è successo alle banche italiane? «A partire dal 2009/2010 il governo ha offerto alle banche la possibilità di rafforzarsi attraverso capitali pubblici. È in questa logica che nascono tra l’altro i cosiddetti Tremonti bond; ma il nostro sistema bancario rifiutò quasi in blocco l’intervento pubblico, mentre il resto d'Europa lo richiedeva».
Un errore tragico che paghiamo oggi? «Lo paghiamo però soprattutto per quanto successo dopo, quando la società e l’economia italiane sono state afflitte dalla cura del dottor Monti, che derivava la propria legittimazione dall’ipotesi del disastro e che, perciò, per rafforzarsi seminava terrore e paura. Ciò poi ha prodotto gli effetti che abbiamo subito dopo cominciato a vedere. Chi semina vento raccoglie tempesta».
Un premier non eletto: possiamo parlare di golpe? «Non sono stato io, ma Jürgen Habermas a definire “un quieto colpo di Stato” quello che è successo in Italia nel 2011».
Che responsabilità in particolare attribuisce a Monti? «Non è possibile che un grande Paese entri in crisi così di colpo come è accaduto all’Italia. Ancora nel maggio 2011 Bankitalia scriveva che “in Italia il disavanzo pubblico è inferiore a quello medio dell’area euro e l’obiettivo di pareggio di bilancio nel 2014 è appropriato”. In realtà, le banche tedesche e francesi erano drammaticamente esposte sulla Grecia e soprattutto sulla Spagna e avevano bisogno anche dei soldi italiani per salvarsi. Il governo italiano si opponeva ai pagamenti a piè di lista. Non per caso ma pour cause, il primo atto del governo Monti fu la firma del capitolato greco, con il piccolo particolare che i nostri soldi non sono andati ai greci, ma alle banche».
Nel suo ultimo libro Mundus Furiosus riflette sull’Europa, su dove e perché ha fallito e su se e come può salvarsi. Riflette partendo dai libri e dagli articoli che ha scritto nel corso degli ultimi venti anni (vedere scheda)... «Una visione resa pubblica anche in un report - datato ottobre 2008 - fatto dall’ambasciata Usa a Roma e fortunosamente rintracciato su Wikileaks, il quale recita testualmente che “Tremonti non ha un pensiero ortodosso sui benefici della globalizzazione e vuole nuove regole per la finanza”».
E qual era invece la visione ortodossa? «Quella di Lehman Brothers».
Come mai le sue tesi hanno un maggior riscontro positivo oggi rispetto ad allora? «Perché certi concetti solo pochi anni fa era davvero difficile farli capire. Oggi stiamo entrando in una nuova fase con il fallimento dell’ideologia tecnocratica, il ritorno dei popoli e della democrazia. La ruota sta girando».
Chi sostiene le sue tesi è tacciato di populismo? «La inviterei a non usare la parola “populismo”. Usi la formula “ragione dei popoli”. Io penso che il ritorno alla democrazia, comunque si realizzi, sia positivo. Le bugie vengono dall’alto, la verità sale dal basso, la chiave è la ragione dei popoli».
Nel suo libro scrive che l’Europa è insieme «odiosa, dannosa e stupida, non ha più vincoli democratici ed è degenerata in un colossale eccesso di potere». Com’è potuto succedere tutto questo? «La data chiave è il 1989. L’Unione europea lo considerò il suo “anno zero” e teorizzò che dalla nuova Germania e dalla nuova moneta potesse nascere un mondo perfetto, a partire dall’economia per arrivare alle “Vite degli altri”».
Lei ha scritto nel 1997 Lo Stato criminogeno, un libro in cui tra l’altro si comincia a criticare l'Europa che prende la misura delle banane e dei fagioli. «Il disegno è stato portato avanti dall’Europa attraverso crescenti forme di integralismo giuridico. La Gazzetta Ufficiale dell’Ue conta ben 32.952 pagine solo per il 2015, messe una accanto all’altra farebbero 151 km. Fa ridere, ma non è divertente: l’ultima legge comunitaria si occupa di basilico e rosmarino, salvia e preparati per il risotto».
Non era possibile contrastare questo processo? «In politica contano i numeri. Nella Ue uno contro 27. Ma non è solo questione di numeri, era crescente la forza di un blocco ideologico, culturale, scientifico e mediatico, ordinato sul pensiero unico globalista e mercatista. La stupisce che Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue dal 2000 al 2014, oggi lavori per Goldman Sachs?».
La globalizzazione però non può essere fermata... «No, però è un processo che poteva essere gestito con tempi più lunghi e maggiore saggezza, nell’interesse di tutti. Ricorda la polemica sui dazi? Potevamo mantenerli per qualche anno, non per bloccare la storia, ma per comprare tempo e difendere i lavoratori. Invece tutto è stato intensificato e accelerato con feroce, e irresponsabile, determinazione».
Siamo al dominio della finanza sulla produzione e alla dissociazione tra lavoro e ricchezza? «La finanza è diventata sicut deus. Alle banche è permesso l’uso dei risparmi dei cittadini non solo per gli investimenti produttivi, le famiglie e le comunità, ma anche per fare speculazioni. Sono stati legalizzati i derivati speculativi. Alla finanza è stato permesso di incorporare in società a responsabilità limitata servizi che prima potevano essere prodotti solo usando società di persone, che così rischiavano con il proprio patrimonio».
Punti il dito: indichi colpevoli? «Vuole la family-foto? A muovere l’apparato c’erano idealisti convinti di agire per il bene dell’umanità, c’erano dementi presuntuosi e naturalmente c’erano individui dominati da propri interessi economici».
E i politici? «Assorbiti, dominati da questo ordine di fattori, hanno via via ceduto il proprio potere per rassegnazione, convenienza e incapacità».
Che succederà ora in Europa? «La situazione è drammatica, ma non sono totalmente pessimista. Gli senari possibili sono tre. Primo scenario: l’Unione continua a sovrapporsi agli Stati e ai popoli e a vivere di espedienti, come chi va a sbattere con la propria auto contro una montagna, ma continua a sostenere che non è sbagliata la cartina stradale quanto la montagna».
Aveva detto che non è totalmente pessimista... «Il secondo scenario è quello del ritorno a Stati isolati tra loro, come subito dopo la guerra, una specie di retrocessione in cui gli Stati diventerebbero forse padroni del proprio passato, ma non del loro presente e del loro futuro, perché verrebbero sovrastati da forze globali superiori, a partire dalla finanza».
E passando all'ottimismo? «C’è lo scenario in cui credo di più, quello confederale. La Confederazione tra gli Stati europei. Gli Stati non sono più, come mezzo secolo fa, pericolosi incubatori di guerre, ma gli ultimi contenitori di quel che resta della democrazia».
È un ritorno alle origini? «Sì, un ritorno ai principi del Trattato di Roma del 1957. Allora si usò la parola Unione per questioni di prospettiva, tuttavia, di fatto, si trattava di una confederazione in cui gli Stati mettevano in comune il carbone, l’acciaio, l’agricoltura e poi via via il mercato. Ed è così che si arriva al mitico Mec».
Lo scenario però è molto cambiato... «Ma la formula resta quella giusta. Aggiornandola, si dovrebbe mettere in comune, per esempio, l’intelligence contro il terrorismo.
Tutto il resto va lasciato alla sovranità dei popoli».
Monti, con lei presente, ha sostenuto in tv che lei ormai si limita a tracciare dotte cosmogonie d’Europa: cosa gli risponde?
«Per la verità, durante quella trasmissione mi sono limitato a parlare di Europa-dinosauro e a ricordare l’ipotesi scientifica secondo cui la vita dei dinosauri sarebbe finita con la caduta sulla terra di una pioggia di asteroidi. Sull’Europa-dinosauro in venti anni si sono abbattuti quattro asteroidi: l’allargamento, la globalizzazione, l’euro e la crisi. Ciascuno da solo capace di produrre fortissimi effetti. Tutti insieme, in sequenza, causa di implosione o di esplosione. Invece di accorgersene, si applaudiva, finché - appunto - è arrivata la crisi. Seppure parlando in modo semplice, non mi pareva di fare intrattenimento. Per la verità mi ricordo che, essendo la trasmissione nella notte di Brexit, mi ero anche permesso di segnalare il fortissimo valore indicativo dell’interesse degli inglesi per Downtown Abbey, sintomo di nostalgia per il passato. Ma anche questo non mi sembrava un argomento da intrattenimento».
Nel suo libro accusa i leader dell’Europa di sonnambulismo. Cosa intende? «La cosa che più mi colpisce di quanto sta avvenendo è che proprio chi ha costruito questa Europa non capisce com’è fatta. Guardi l’esempio della Turchia».
Ma la Turchia non si vorrebbe farla entrare in Europa? «L’articolo 49 del Trattato costitutivo della Ue dice che per entrarci i Paesi devono condividerne i valori. Lei pensa che si possa imporre a una nazione di cultura e religione islamica l’applicazione del diritto comunitario, a partire, per esempio, dalle regole sulla horizontal family? Pensa che ottempererebbero alle sentenza della Corte di Giustizia Ue che afferma questi valori? Pensa che pagherebbe le sanzioni per le violazioni?».
L’Europa rischia di essere travolta dall’emergenza immigrazione: c’è un modo per gestirla?
«Io ricordo la scrittura della proposta di legge del 2000 a iniziativa popolare e a firma Berlusconi-Bossi-Tremonti-Urbani, la base sostanziale di quella che nel 2002 è diventata la legge Bossi-Fini».
Fu accusata ti essere è una legge razzista... «Per la verità, l’articolo 1 si basava sul principio dell’“aiutiamoli a casa loro”. Si prevedeva che lo Stato rinunciasse a un punto di Iva sui prodotti venduti da negozi collegati ad associazioni di volontariato attive in Africa, a patto che fosse investito per creare economia laggiù. Ovviamente l’Europa ha sempre bocciato questa proposta, rivendicando che l’Iva fosse cosa sua. Ora con il cosiddetto Migration Compact l'Europa si prepara a mandare i soldi di tutti gli europei in Africa, ma gli africani non li vedranno mai. Andranno direttamente nelle tasche dei dittatori, che li spenderanno in armi o li depositeranno in Svizzera».
Ma ormai l’immigrazione sembra un fenomeno inarrestabile: è un problema o una risorsa? «Valli e muri non bastano a fermarla, ma sono utili quantomeno perché servono a tranquillizzare i cittadini e a trasmettere sicurezza. E questo è un bene per tutti».
Nel suo libro lei dedica una parte anche alle conseguenze economiche dell'immigrazione... «I maestri del pensiero unico europeo ci spiegavano che la società ideale sarebbe stata meticcia e che gli immigrati ci avrebbero pagato le pensioni e avrebbero fatto i lavori più umili al nostro posto, una sorta di popolo di ricambio di serie B».
E come la mettiamo con il terrorismo? «Questo è anche un effetto di una tendenza che nell’ultimo decennio si è manifestata in Occidente: quella di esportare la democrazia come fosse un McDonald’s. Dimenticando che la democrazia è un processo di lungo periodo e non un prodotto istantaneo. Appena 40 anni fa la democrazia non c’era in Grecia, Portogallo e Spagna, in mezza Germania e in tutto l’Est europeo».
Adesso mi dice che gli attentati che stanno devastando l’Europa ce li siamo cercati? «Non arrivo a questo ma dico che abbiamo forzato e sfidato le tradizioni altrui. Abbiamo dimenticato che la Patria è in senso biblico la terra dove riposano le ossa dei padri. Una cultura profondamente diversa non la integri in forma istantanea ed è anche per reazione che si sta realizzando la terribile profezia di Carl Schmitt. Nel saggio “La teoria del partigiano” profetizza un nuovo tipo di terrorismo che proprio nella religione trova la sua patria”».
Lei era molto vicino alla dottrina sociale di Ratzinger. Cosa pensa di quella di Papa Francesco? «Tra l’altro, sono stato molto colpito dalle parole sull’Europa che il Papa avrebbe pronunciato durante un volo in aereo: sovranità tradite, identità sbiadite, un’Unione troppo massiccia, il ritorno alle radici, dare più indipendenza, sana disunione, più libertà agli Stati dell'Unione. Mi sembra che queste parole rivelino un’alta capacità di giudizio».
Concludiamo sul referendum sulla riforma Costituzionale: che cosa voterà? «Voterò un assoluto NO».
Perché? «Ho appena letto un documento estremamente autorevole in cui ancora si scrive che la riforma porterebbe al superamento del bicameralismo perfetto, con una riduzione dei compiti del Senato, sostanzialmente concentrato sul tema delle Regioni. È assolutamente falso: il nuovo Senato non elimina il bicameralismo ma realizza un bicameralismo stortato».
Questa non l’ho mai sentita... «La riforma attribuisce al Senato competenze paritetiche con la Camera sull’Europa, a partire dai trattati per arrivare al risparmio. Saremmo l’unico Paese al mondo con una Camera di origine locale a cui si affidano competenze internazionali».
I fautori del No lamentano anche che di fatto sarebbe una Camera di non eletti... «Infatti, il Senato non sarebbe eletto dal popolo e non si scioglierebbe mai ma i senatori si autorigenererebbero in perpetuo. Il risultato sarebbe quello di attribuire il potere sull’Europa (che non è un’astrazione, come è particolarmente chiaro dopo la Brexit, una parte centrale della nostra vita) a una bestiraio politico assolutamente assimmetrico rispetto allaa Camera, il che è l’opposto della governalbilità. Avremmo senatori locali con uno sconfiato potero di veto, di voto, di ricatto».
Ma il nuovo Senato non voterà la fiducia al governo, quindi in teoria avrà meno potere di ricatto? «Il presidente del Consigio dovrà andarci assistito da indovini e cartomanti e per beffa, avendo detto d’eessere l’ultimo a chiedere la fiducia in Senato, senza neppure potere imporre il voto di fiducia».
Cosa c’è di più serio dei nostri soldi: le banche, tutto il disastro è partito da lì? «Tutto ha avuto inizio nel 2008 negli Stati Uniti con la crisi dei mutui subprime, che subito dopo, di riflesso, ha investito le banche del Centro e del Nord Europa, le quali, essendo già da prima in difficoltà, avevano cercato di aggiustare i loro conti e i loro bilanci investendo su titoli ad alto rendimento ma anche ovviamente ad alto rischio, come quelli greci e spagnoli».
Come è stato gestito l’impatto della crisi dei subprime americani nel Centro e nel Nord Europa? «È stato operato il più colossale trasferimento di ricchezza dalle tasche delle famiglie ai forzieri della speculazione. Il trasferimento è passato dai bilanci pubblici degli Stati, per arrivare alle “banche sistemiche” che hanno così trovato i mezzi finanziari per pagare le controparti speculative».
Non bastava questo: era necessario anche il bail-in, la legge Ue che prevede che siano i risparmiatori con i loro conti corrente a tappare i buchi delle banche? «Non potendo più usare i soldi dei contribuenti, si è pensato di usare i soldi dei risparmiatori. Questa è la base di pensiero che ha ispirato il bail-in».
Però il bail-in l’hanno votato tutti, Italia compresa: i governi Letta e Renzi non sapevano quello che votavano? «Mi permetto di segnalarle che contro il bail-in non solo ho scritto definendolo come un mostro europeo in arrivo, ma ho anche votato in Senato. Altri hanno votato diversamente. Il bail-in è comunque una regola demenziale: è come se per fermare uno che guida come un pazzo, anziché abbassare il limite di velocità, gli si alzasse il costo della polizza Rc auto, con il particolare che l’Rc auto non la pagano i guidatori ma i risparmiatori».
Cosa è successo alle banche italiane? «A partire dal 2009/2010 il governo ha offerto alle banche la possibilità di rafforzarsi attraverso capitali pubblici. È in questa logica che nascono tra l’altro i cosiddetti Tremonti bond; ma il nostro sistema bancario rifiutò quasi in blocco l’intervento pubblico, mentre il resto d'Europa lo richiedeva».
Un errore tragico che paghiamo oggi? «Lo paghiamo però soprattutto per quanto successo dopo, quando la società e l’economia italiane sono state afflitte dalla cura del dottor Monti, che derivava la propria legittimazione dall’ipotesi del disastro e che, perciò, per rafforzarsi seminava terrore e paura. Ciò poi ha prodotto gli effetti che abbiamo subito dopo cominciato a vedere. Chi semina vento raccoglie tempesta».
Un premier non eletto: possiamo parlare di golpe? «Non sono stato io, ma Jürgen Habermas a definire “un quieto colpo di Stato” quello che è successo in Italia nel 2011».
Che responsabilità in particolare attribuisce a Monti? «Non è possibile che un grande Paese entri in crisi così di colpo come è accaduto all’Italia. Ancora nel maggio 2011 Bankitalia scriveva che “in Italia il disavanzo pubblico è inferiore a quello medio dell’area euro e l’obiettivo di pareggio di bilancio nel 2014 è appropriato”. In realtà, le banche tedesche e francesi erano drammaticamente esposte sulla Grecia e soprattutto sulla Spagna e avevano bisogno anche dei soldi italiani per salvarsi. Il governo italiano si opponeva ai pagamenti a piè di lista. Non per caso ma pour cause, il primo atto del governo Monti fu la firma del capitolato greco, con il piccolo particolare che i nostri soldi non sono andati ai greci, ma alle banche».
Nel suo ultimo libro Mundus Furiosus riflette sull’Europa, su dove e perché ha fallito e su se e come può salvarsi. Riflette partendo dai libri e dagli articoli che ha scritto nel corso degli ultimi venti anni (vedere scheda)... «Una visione resa pubblica anche in un report - datato ottobre 2008 - fatto dall’ambasciata Usa a Roma e fortunosamente rintracciato su Wikileaks, il quale recita testualmente che “Tremonti non ha un pensiero ortodosso sui benefici della globalizzazione e vuole nuove regole per la finanza”».
E qual era invece la visione ortodossa? «Quella di Lehman Brothers».
Come mai le sue tesi hanno un maggior riscontro positivo oggi rispetto ad allora? «Perché certi concetti solo pochi anni fa era davvero difficile farli capire. Oggi stiamo entrando in una nuova fase con il fallimento dell’ideologia tecnocratica, il ritorno dei popoli e della democrazia. La ruota sta girando».
Chi sostiene le sue tesi è tacciato di populismo? «La inviterei a non usare la parola “populismo”. Usi la formula “ragione dei popoli”. Io penso che il ritorno alla democrazia, comunque si realizzi, sia positivo. Le bugie vengono dall’alto, la verità sale dal basso, la chiave è la ragione dei popoli».
Nel suo libro scrive che l’Europa è insieme «odiosa, dannosa e stupida, non ha più vincoli democratici ed è degenerata in un colossale eccesso di potere». Com’è potuto succedere tutto questo? «La data chiave è il 1989. L’Unione europea lo considerò il suo “anno zero” e teorizzò che dalla nuova Germania e dalla nuova moneta potesse nascere un mondo perfetto, a partire dall’economia per arrivare alle “Vite degli altri”».
Lei ha scritto nel 1997 Lo Stato criminogeno, un libro in cui tra l’altro si comincia a criticare l'Europa che prende la misura delle banane e dei fagioli. «Il disegno è stato portato avanti dall’Europa attraverso crescenti forme di integralismo giuridico. La Gazzetta Ufficiale dell’Ue conta ben 32.952 pagine solo per il 2015, messe una accanto all’altra farebbero 151 km. Fa ridere, ma non è divertente: l’ultima legge comunitaria si occupa di basilico e rosmarino, salvia e preparati per il risotto».
Non era possibile contrastare questo processo? «In politica contano i numeri. Nella Ue uno contro 27. Ma non è solo questione di numeri, era crescente la forza di un blocco ideologico, culturale, scientifico e mediatico, ordinato sul pensiero unico globalista e mercatista. La stupisce che Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue dal 2000 al 2014, oggi lavori per Goldman Sachs?».
La globalizzazione però non può essere fermata... «No, però è un processo che poteva essere gestito con tempi più lunghi e maggiore saggezza, nell’interesse di tutti. Ricorda la polemica sui dazi? Potevamo mantenerli per qualche anno, non per bloccare la storia, ma per comprare tempo e difendere i lavoratori. Invece tutto è stato intensificato e accelerato con feroce, e irresponsabile, determinazione».
Siamo al dominio della finanza sulla produzione e alla dissociazione tra lavoro e ricchezza? «La finanza è diventata sicut deus. Alle banche è permesso l’uso dei risparmi dei cittadini non solo per gli investimenti produttivi, le famiglie e le comunità, ma anche per fare speculazioni. Sono stati legalizzati i derivati speculativi. Alla finanza è stato permesso di incorporare in società a responsabilità limitata servizi che prima potevano essere prodotti solo usando società di persone, che così rischiavano con il proprio patrimonio».
Punti il dito: indichi colpevoli? «Vuole la family-foto? A muovere l’apparato c’erano idealisti convinti di agire per il bene dell’umanità, c’erano dementi presuntuosi e naturalmente c’erano individui dominati da propri interessi economici».
E i politici? «Assorbiti, dominati da questo ordine di fattori, hanno via via ceduto il proprio potere per rassegnazione, convenienza e incapacità».
Che succederà ora in Europa? «La situazione è drammatica, ma non sono totalmente pessimista. Gli senari possibili sono tre. Primo scenario: l’Unione continua a sovrapporsi agli Stati e ai popoli e a vivere di espedienti, come chi va a sbattere con la propria auto contro una montagna, ma continua a sostenere che non è sbagliata la cartina stradale quanto la montagna».
Aveva detto che non è totalmente pessimista... «Il secondo scenario è quello del ritorno a Stati isolati tra loro, come subito dopo la guerra, una specie di retrocessione in cui gli Stati diventerebbero forse padroni del proprio passato, ma non del loro presente e del loro futuro, perché verrebbero sovrastati da forze globali superiori, a partire dalla finanza».
E passando all'ottimismo? «C’è lo scenario in cui credo di più, quello confederale. La Confederazione tra gli Stati europei. Gli Stati non sono più, come mezzo secolo fa, pericolosi incubatori di guerre, ma gli ultimi contenitori di quel che resta della democrazia».
È un ritorno alle origini? «Sì, un ritorno ai principi del Trattato di Roma del 1957. Allora si usò la parola Unione per questioni di prospettiva, tuttavia, di fatto, si trattava di una confederazione in cui gli Stati mettevano in comune il carbone, l’acciaio, l’agricoltura e poi via via il mercato. Ed è così che si arriva al mitico Mec».
Lo scenario però è molto cambiato... «Ma la formula resta quella giusta. Aggiornandola, si dovrebbe mettere in comune, per esempio, l’intelligence contro il terrorismo.
Tutto il resto va lasciato alla sovranità dei popoli».
Monti, con lei presente, ha sostenuto in tv che lei ormai si limita a tracciare dotte cosmogonie d’Europa: cosa gli risponde?
«Per la verità, durante quella trasmissione mi sono limitato a parlare di Europa-dinosauro e a ricordare l’ipotesi scientifica secondo cui la vita dei dinosauri sarebbe finita con la caduta sulla terra di una pioggia di asteroidi. Sull’Europa-dinosauro in venti anni si sono abbattuti quattro asteroidi: l’allargamento, la globalizzazione, l’euro e la crisi. Ciascuno da solo capace di produrre fortissimi effetti. Tutti insieme, in sequenza, causa di implosione o di esplosione. Invece di accorgersene, si applaudiva, finché - appunto - è arrivata la crisi. Seppure parlando in modo semplice, non mi pareva di fare intrattenimento. Per la verità mi ricordo che, essendo la trasmissione nella notte di Brexit, mi ero anche permesso di segnalare il fortissimo valore indicativo dell’interesse degli inglesi per Downtown Abbey, sintomo di nostalgia per il passato. Ma anche questo non mi sembrava un argomento da intrattenimento».
Nel suo libro accusa i leader dell’Europa di sonnambulismo. Cosa intende? «La cosa che più mi colpisce di quanto sta avvenendo è che proprio chi ha costruito questa Europa non capisce com’è fatta. Guardi l’esempio della Turchia».
Ma la Turchia non si vorrebbe farla entrare in Europa? «L’articolo 49 del Trattato costitutivo della Ue dice che per entrarci i Paesi devono condividerne i valori. Lei pensa che si possa imporre a una nazione di cultura e religione islamica l’applicazione del diritto comunitario, a partire, per esempio, dalle regole sulla horizontal family? Pensa che ottempererebbero alle sentenza della Corte di Giustizia Ue che afferma questi valori? Pensa che pagherebbe le sanzioni per le violazioni?».
L’Europa rischia di essere travolta dall’emergenza immigrazione: c’è un modo per gestirla?
«Io ricordo la scrittura della proposta di legge del 2000 a iniziativa popolare e a firma Berlusconi-Bossi-Tremonti-Urbani, la base sostanziale di quella che nel 2002 è diventata la legge Bossi-Fini».
Fu accusata ti essere è una legge razzista... «Per la verità, l’articolo 1 si basava sul principio dell’“aiutiamoli a casa loro”. Si prevedeva che lo Stato rinunciasse a un punto di Iva sui prodotti venduti da negozi collegati ad associazioni di volontariato attive in Africa, a patto che fosse investito per creare economia laggiù. Ovviamente l’Europa ha sempre bocciato questa proposta, rivendicando che l’Iva fosse cosa sua. Ora con il cosiddetto Migration Compact l'Europa si prepara a mandare i soldi di tutti gli europei in Africa, ma gli africani non li vedranno mai. Andranno direttamente nelle tasche dei dittatori, che li spenderanno in armi o li depositeranno in Svizzera».
Ma ormai l’immigrazione sembra un fenomeno inarrestabile: è un problema o una risorsa? «Valli e muri non bastano a fermarla, ma sono utili quantomeno perché servono a tranquillizzare i cittadini e a trasmettere sicurezza. E questo è un bene per tutti».
Nel suo libro lei dedica una parte anche alle conseguenze economiche dell'immigrazione... «I maestri del pensiero unico europeo ci spiegavano che la società ideale sarebbe stata meticcia e che gli immigrati ci avrebbero pagato le pensioni e avrebbero fatto i lavori più umili al nostro posto, una sorta di popolo di ricambio di serie B».
E come la mettiamo con il terrorismo? «Questo è anche un effetto di una tendenza che nell’ultimo decennio si è manifestata in Occidente: quella di esportare la democrazia come fosse un McDonald’s. Dimenticando che la democrazia è un processo di lungo periodo e non un prodotto istantaneo. Appena 40 anni fa la democrazia non c’era in Grecia, Portogallo e Spagna, in mezza Germania e in tutto l’Est europeo».
Adesso mi dice che gli attentati che stanno devastando l’Europa ce li siamo cercati? «Non arrivo a questo ma dico che abbiamo forzato e sfidato le tradizioni altrui. Abbiamo dimenticato che la Patria è in senso biblico la terra dove riposano le ossa dei padri. Una cultura profondamente diversa non la integri in forma istantanea ed è anche per reazione che si sta realizzando la terribile profezia di Carl Schmitt. Nel saggio “La teoria del partigiano” profetizza un nuovo tipo di terrorismo che proprio nella religione trova la sua patria”».
Lei era molto vicino alla dottrina sociale di Ratzinger. Cosa pensa di quella di Papa Francesco? «Tra l’altro, sono stato molto colpito dalle parole sull’Europa che il Papa avrebbe pronunciato durante un volo in aereo: sovranità tradite, identità sbiadite, un’Unione troppo massiccia, il ritorno alle radici, dare più indipendenza, sana disunione, più libertà agli Stati dell'Unione. Mi sembra che queste parole rivelino un’alta capacità di giudizio».
Concludiamo sul referendum sulla riforma Costituzionale: che cosa voterà? «Voterò un assoluto NO».
Perché? «Ho appena letto un documento estremamente autorevole in cui ancora si scrive che la riforma porterebbe al superamento del bicameralismo perfetto, con una riduzione dei compiti del Senato, sostanzialmente concentrato sul tema delle Regioni. È assolutamente falso: il nuovo Senato non elimina il bicameralismo ma realizza un bicameralismo stortato».
Questa non l’ho mai sentita... «La riforma attribuisce al Senato competenze paritetiche con la Camera sull’Europa, a partire dai trattati per arrivare al risparmio. Saremmo l’unico Paese al mondo con una Camera di origine locale a cui si affidano competenze internazionali».
I fautori del No lamentano anche che di fatto sarebbe una Camera di non eletti... «Infatti, il Senato non sarebbe eletto dal popolo e non si scioglierebbe mai ma i senatori si autorigenererebbero in perpetuo. Il risultato sarebbe quello di attribuire il potere sull’Europa (che non è un’astrazione, come è particolarmente chiaro dopo la Brexit, una parte centrale della nostra vita) a una bestiraio politico assolutamente assimmetrico rispetto allaa Camera, il che è l’opposto della governalbilità. Avremmo senatori locali con uno sconfiato potero di veto, di voto, di ricatto».
Ma il nuovo Senato non voterà la fiducia al governo, quindi in teoria avrà meno potere di ricatto? «Il presidente del Consigio dovrà andarci assistito da indovini e cartomanti e per beffa, avendo detto d’eessere l’ultimo a chiedere la fiducia in Senato, senza neppure potere imporre il voto di fiducia».
di Pietro Senaldi
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