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mercoledì 17 agosto 2016

Sfida di Parisi per la crescita: basta coi mandarini di Stato

 La ricetta di Mr. Chili per rilanciare l'economia: guerra alla burocrazia per favorire gli investimenti privati

Mandarini di Stato. Ecco i principali nemici di Stefano Parisi, ormai lanciato nella corsa a leader del centrodestra
L'ex amministratore delegato Fastweb ha un chiodo fisso: sburocratizzare il Paese. Per lui l'economia italiana è al palo non perché Renzi non riesce a strappare uno zero virgola in più per flessibilità. «Problema mal posto - ripete anche in questi giorni - la questione non è avere qualche soldo in più da spendere ma favorire gli investimenti privati». E per Parisi nessuno investe in Italia perché il polipo burocratico ha tentacoli letali. Eccolo il principale nemico, altro che Merkel e austerità. Il problema è che tutti sanno che la zavorra sta lì, ma un conto è il dire un altro il fare: come tagliare, quindi, le unghie ai burocrati, senza l'appoggio dei quali ogni riforma è destinata all'aborto? Parisi giura che ce la farà perché in fondo lui arriva da lì. Conosce stanze e corridoi dei ministeri, conosce la macchina della pubblica amministrazione bullone per bullone.
Nel 1984 è stato capo della segreteria tecnica del ministero del Lavoro; quattro anni dopo era alla vicepresidenza del Consiglio dei ministri; poi alla Farnesina fino al 1991. L'anno dopo era a capo del dipartimento per gli affari economici della presidenza del Consiglio dei ministri. Insomma, un ex mandarino di Stato che vuole sbucciare proprio i mandarini di Stato. E proprio mentre il governo è sotto scacco per il pressing dei sindacati sul rinnovo del contratto degli statali, Parisi promette che non guarderà in faccia nessuno perché «se anche bisognerà mandare a casa centinaia di migliaia di statali, poi arriveranno milioni di nuovi occupati». Privati. Ecco perché Parisi ha l'appoggio di ampi settori di Confindustria ma soprattutto di Berlusconi che vuole veder portata a termine la «sua» rivoluzione liberale. Parisi lavora pancia a terra, cerca sponsor, seleziona volti nuovi e soprattutto schiva le scaramucce del dibattito agostano che derubrica a «chiacchiericcio di politici di professione».
Il problema è che il centrodestra vince solo se è unito e l'unità per ora pare una chimera. Salvini, al quale Parisi ha più volte teso la mano, è più propenso a morderla che a stringerla. Vero che il capo della Lega era davanti alla sua «pancia» ma in quel di Ponte di Legno è stato pungente come un alveare: «Parisi chi? So solo che il Milan ha comprato Lapadula». Il segretario del Carroccio avverte Mister Chili: «Non ho ancora capito cosa vuole fare e dove vuole andare. Ma non è che non ci dorma la notte». E poi piazza i suoi paletti: «Se ci vuole proporre accordi con i Cicchitto e i Verdini non ci interessa e non ci metteremo con chi oggi sta con Renzi (Ncd e altri), con chi voterà Sì al referendum, e con chi ha cambiato sei volte poltrona». E ancora: «I cittadini non mi chiedono cosa ha in testa Parisi ma come abbassare le tasse». Insomma, siamo ancora ai messaggi a distanza, altro che unità della coalizione. Tuttavia Salvini non esclude alleanze e chiama tutto il centrodestra a Firenze per il prossimo 12 novembre per una «grande manifestazione per mandare via Renzi, Boschi, Boldrini e Alfano». Linea dura per «dare lo sfratto al governo Renzi. E per far questo ci vuole un nuovo Fronte di liberazione nazionale». Risponderanno tutti in coro all'appello? Non è dato sapere. Di sicuro si aprirà il dibattito se riproporre o meno la «fotografia di Bologna» ma soprattutto con quali soggetti nell'obiettivo. E, non ultimo, chi comanderà.

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