Con la Sicilia e con Ostia inizia il declino dei Cinque Stelle, annunciato dalle disfatte amministrative di Roma e Torino
Vittorio Sgarbi
Candidati inadeguati, insensatezze e avvisi di garanzia. Soltanto i senza speranza, e ve ne sono troppi in Sicilia, motivatamente, possono ancora votarli. Ma il paradigma della loro inadeguatezza è Giggino Di Maio, nella versione sbruffone, che non riesce a contenere, pur essendo evidenti i suoi limiti. Gli manca il cervello e il fisico. Però, ebbro di potere, restituisce l'identità del suo capo all'omonimo prototipo: il Marchese del Grillo. Forse nessuno lo ha osservato, commentando le grottesche esternazioni contro gli antagonisti e i «vomitevoli» giornalisti, con quel tono, preciso: «Io sono io, e voi non siete un cazzo».
Il nuovo Marchese del Grillo se lo poteva permettere, mentre il suo minuscolo e rattrappito reggicoda diventa ridicolo e patetico. E l'ha già fatto due volte in due giorni: ieri con Renzi, negandosi al confronto («io sono io, candidato premier, e lui non lo so più»); e tre giorni fa, nel ristorante di Palermo dove, entrato con la sua banda, come un piccolo boss, fece la nota sceneggiata documentata da Mario Aiello. Alla vista di tre giornalisti, già seduti al loro tavolo, Giggino pronunciò la fatidica frase: «O noi o loro», con evidente intimidazione. Giggino si sente proprio il marchese del Grillo, più di Grillo stesso. Fra un po' rifiuterà un incontro con Trump, invocando il Russiagate. «Io sono io... e voi...».
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