image-35776-860_panofree-yjvq-35776
Claretta Petacci è un maiale. Ah, che belle risate. E che riflessione arguta. Ma quale satira? Questa è merda. Pura, purissima merda chic, partorita dalla mente del democraticissimo progresso secondo cui non ci sono vincoli, nella comunicazione, né tabù; e la moralità, il buon senso, il buon gusto, ci stanno stretti, come antichi orpelli ormai in disuso. Cosa voleva dire Gene Gnocchi, ora che prova a difendersi – “Mi dispiace se qualcuno si è sentito toccato ma rivendico diritto di satira” (Huffington Post) -, o che provano miseramente a difenderlo – come Selvaggia Lucarelli, che dall’alto delle sue forme intellettuali e della sua scaciatezza modello liceale romana primi anni ’80, ci fa il cazziatone su quanto Gnocchi stesse solo praticando l’antica arte dello sberleffo, diretta alla Meloni per altro, e che quindi il celebre battutista, simpatico come un calcio nei coglioni di mattina presto, non ce lo meritiamo -? 

Forse voleva solo incarnare il motto di un altro paladino delle Belle Menti, Dario Fò, un proletario col culo degli altri: “Prima regola: nella satira non ci sono regole”, fintanto che, ovviamente, non colpisce gli agitatori del politicamente corretto. Cosa è satira nel grande mondo liberale e libertino, poco libero? E cos’è oltraggio?


Castigat ridendo mores, castigare i costumi ridendo. O è satira, o merda. E non c’è niente da fare. Il confine è sempre troppo labile, spesso irriconoscibile, ad un occhio pigro. Ed è inutile ricorrere al diritto di satira quando l’abbiamo fatta grossa. 

La satira è diritto di una società evoluta, a patto che sia riconoscibile in quanto tale.

Era solo satira, vero? E invece no, quella era merda. Molliccia, inconsistente, gratuita MERDA!


Perché la satira, castiga il costume, non paragona ad un maiale una povera donna trucidata e poi appesa a testa in giù, senza pietà da bestie forsennate in nome di una rivoluzione farlocca che non si è mai realizzata. 

Perché la satira, con la sua brutalità, educa. Fa aprire gli occhi, ma soprattutto, si erge come forma d’arte e d’intelletto, in ogni epoca, contro il potere. Lo smaschera, lo neutralizza, lo normalizza. E se eccede, è perché è costretta a farlo. Per realizzare se stessa, a patto che nessuno si offenda.

Il significato di satira, ce la offre addirittura la Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza 24 febbraio 2006 – 16 marzo 2006, n. 9246: “La satira, notoriamente, è quella manifestazione del pensiero (talora di altissimo livello) che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores; ovvero, di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene”.
  


(La satira è una cosa seria, 
E.Ricucci, 2017, Edizioni Il Giornale, capitolo I