Voti spediti, rischio brogli e candidati improbabili. L’incognita voto estero
Ma la Consulta respinge il ricorso: solo la Cassazione può chiarire. Maggiore sorveglianza e codici a barre ma per il resto tutto funziona come in passato
Tutto come prima. Nonostante gli scandali, le inchieste, le condanne, le infiltrazioni mafiose, i video australiani coi pacchi di schede riempite da «mo figghiu cu ati boy frend» (mio figlio e altri amici), il voto degli italiani all’estero resta così come era. Il ricorso alla Corte costituzionale che avrebbe potuto far saltare tutto è stato infatti respinto. Ma come: dopo tante schifezze viste negli anni capaci di gettare ombre pesantissime sulla realizzazione del sogno del vecchio Mirko Tremaglia di dare la possibilità ai nostri emigrati di dire la loro «dentro» il Parlamento italiano? La questione del sistema elettorale a rischio non è stata manco sfiorata, spiega la Consulta: un «errore di percorso ha impedito alla Corte di entrare nel merito». Un anno dopo la presentazione del quesito sollevato dal Tribunale di Venezia in occasione del referendum del 4 dicembre 2016 e dodici giorni prima del 4 marzo, i giudici dicono infatti che i dubbi sulla segretezza e la validità dei voti all’estero andavano rivolti «all’Ufficio centrale per la circoscrizione estero» e poi «all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione», l’unica «legittimata a sollevare l’incidente di costituzionalità». Fine.
Certo, non sarebbe stato facile far saltare tutto a meno di due settimane dalle Politiche. Gli italiani che vivono fuori, proprio per le procedure macchinose, hanno già in larga parte votato. La Camera «deve» avere i suoi dodici deputati eletti all’estero e così il Senato i suoi sei senatori. Auguri. Fatto sta che, salvo ritocchi come l’introduzione di codici a barre e una maggiore sorveglianza su stampa, custodia e distribuzione delle schede «per rendere tracciabile il percorso» non molto è cambiato rispetto alle altre volte. Il tutto nonostante siano passati sedici anni dal varo della legge (con tanto di francobollo commemorativo) e sei dalle accuse del Sindacato nazionale dipendenti ministero Affari esteri che nel 2012, pur «non mettendo in alcun modo in discussione» la scelta di far votare gli italiani all’estero, denunciava «i suoi costi e la sua scarsa sicurezza». E affermava la necessità di arrivare subito all’«opzione di riforma più radicale», «meno costosa» e «di più agevole gestione: l’adozione del voto remoto», cioè elettronico, che «sarebbe infinitamente più sicuro di quello attuale». Macché… Perfino il voto delle Politiche 2013, accusa l’ambasciatore Calogero Di Gesù in Dietro le quinte della Farnesina, non «è stato esente dai già noti gravissimi inconvenienti già denunciati in occasione di precedenti votazioni».
Lo dicono i dati ufficiali, pubblicati dal ministero degli Esteri: «A fronte di 3.494.687 plichi elettorali inviati dalle ambasciate e dai consolati agli italiani residenti all’estero, compresi quelli aggiunti localmente a norma di legge, risultano restituite, con le schede elettorali votate, alle nostre Sedi 1.122.294 buste, pari al 32,11% di quelle inviate. Non è stato possibile recapitare per irraggiungibilità dei destinatari l’11,38% dei plichi inviati». Ciò significa, scrive il diplomatico, durissimo su tante storture, che «dei circa 3 milioni e mezzo di elettori residenti all’estero meno di un terzo ha votato mentre più di due terzi, cioè 2 milioni e 372.393 elettori, non hanno votato». Di più: «Il problema di possibili brogli riguarda anche le 1.122.294 buste restituite al consolato e le schede votate in esse contenute: chi può garantire che chi le ha votate è realmente l’elettore destinatario del plico?». Ne abbiamo viste di tutti i colori, negli anni. Dal debutto (disastroso) dell’ex ragazza del Geghegé Rita Pavone (emigrata a Lugano!) alla candidatura della vaporosa sexy-soubrette argentina Iliana Calabrò, che spiegò in un’irresistibile intervista a Fabrizio Roncone: «Verrò in Italia solo in occasione delle votazioni più importanti: per il resto del tempo, me ne starò qui a Buenos Aires, vicino ai miei cari elettori italiani». E poi l’ascesa tra le macchiette planetarie di Antonio Razzi, che esordì definendo Berlusconi e Bossi «gli Stan Laurel ed Oliver Hardy della politica italiana» e finì per definirsi «né falco e né colomba nel Pdl: sono solo di proprietà di Berlusconi». E poi «el sedadòr» argentino Pallaro che riuscì «miracolosamente» a raccogliere 84.507 voti nella Pampa e a diventare l’ago della bilancia che teneva in piedi col suo voto il governo Prodi finché non lo lasciò cadere.
Per non dire appunto degli scandali. Come l’apparizione di Nicola Di Girolamo, che era «sconosciuto all’anagrafe belga» ma non agli amici delle «’ndrine» sparsi per l’Europa e finì a Palazzo Madama finché non saltarono fuori i rapporti con la mafia calabrese e finì in galera nell’ambito di una inchiesta sul riciclaggio di capitali della ‘ndrangheta. Su tutto, però, anche se non c’entrava la criminalità organizzata, svetta il racconto di Paolo Rajo, cronista della radio australiana Rete Italia: «Ero andato in giro a chiedere voti come facevano tutti i candidati e sono capitato a casa di un conoscente con famiglia numerosa. (…) Quando gli ho spiegato il motivo della mia visita mi ha detto candidamente: “Ma Paolo, noi ti stiamo già aiutando, in garage c’è mo figghiu cu ati boy frend che ti stanno a riempire le tue ballot paiper”. Cioè le schede elettorali. (…) “Ti faccio vedere, vieni” e mentre andavamo nel suo garage mi spiega che era stato avvicinato da alcune persone che gli avevano detto: “Se vuoi aiutare Paolo ti portiamo dei pacchi di schede e ti diciamo cosa devi fare, poi passeremo noi a riprenderle e daremo anche una cassa di birra ai ragazzi che ci aiuteranno”. (…) Entro in garage e davanti a me, si para la scena di un tavolo apparecchiato con tovaglioli, ma sopra invece che del cibo c’erano tantissime schede pronte al voto in serie». Tutto mandato on line.
Può succedere ancora? Vedremo. Ma certo anche stavolta il voto degli italiani all’estero, con la sua fama di carrozzone elettorale dalle mille sorprese, ha visto affacciarsi da tutto il mondo figure di varia umanità. Dal cervello in fuga consulente alla Banca mondiale alla pensionata rientrata in Italia, da chi non ha mai vissuto all’estero come la giornalista di Rai International Francesca Alderisi («vi invito a votarmi perché per me non c’è italiano più italiano di un italiano all’estero») a chi, a quanto pare, non si è mai mosso dal computer. Come Giuseppe Macario, che si sarebbe candidato piazzando una foto non sua e un curriculum grondante di note d’eccellenza (non sue) ed è stato smascherato dalla direttrice del sito di Rolling Stone Selvaggia Lucarelli, incuriosita dalle liste dei candidati per la ripartizione America del Nord dove spiccava il suo «movimento»: Free Flights to Italy. Voli gratis per l’Italia. Non male per uno che sarebbe sempre stato a Fiano Romano. Dove vive con la mamma. Lei pure candidata nelle Americhe, dal Guatemala all’Ontario…
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