- Davide Giacalone
- Sabato, 23 Aprile 2016
L’ennesimo scontro di chiacchiere, fra politica e giustizia, o, meglio, fra politici e magistrati, serve a nulla. Scena tante volte e inutilmente ripetuta. Eppure si presenta un’occasione, nel momento in cui a capo dell’Associazione nazionale magistrati si trova chi da venticinque anni prova a “girare l’Italia come un calzino”, mentre a Palazzo Chigi si trova un capo della sinistra, finalmente accortosi che c’è stata “barbarie giustizialista”. Sarà sprecata, l’occasione, ma c’è.
Piercamillo Davigo è una persona seria. E’ escluso che reciti, crede in quel che dice. E se dice che la presunzione d’innocenza è un fatto tecnico, mentre l’accusa è più che sufficiente affinché l’accusato debba rendere conto ai suoi pari di quel che ha detto o fatto, lo pensa veramente. Se dice che le norme che regolano le intercettazioni telefoniche sono in grado di tutelare la vita privata degli intercettati, nel mentre li sentiamo contarsi a vicenda i peli nel naso, dice una cosa di cui è seriamente convinto: se scopro che vai con un trans metto la notizia nel fascicolo, benché non sia reato, perché il tuo avvocato difensore potrebbe trovarci l’alibi mancante, la dimostrazione che mentre eri con quella (o quello) non potevi certo essere altrove a delinquere. Una specie di incubo totalitario, ma non privo di forza intellettuale.
Essendo una persona seria, però, Davigo non può non riconoscere che un tale immenso potere, consegnato nelle mani di chi si trova a gestirlo perché ha superato un concorso, comporta anche delle responsabilità. L’infermiera arrestata perché pluriassassina e poi liberata perché non sussistono gli elementi della custodia cautelare, è comunque una cittadina che ancora a lungo dovrà pagare le spese legali della disavventura, mentre la sua immagine è stata e rimane di dominio pubblico. Nessuno chiede ai magistrati di non commettere errori (non sarebbe umano), ma occorre pagarli.
Matteo Renzi è una persona determinata. Fin troppo. E crede alla prevalenza della politica, non fosse altro perché fa il politico. Sa benissimo che serve a un piffero prendersela con la “barbarie giustizialista”, perché il suo mestiere consiste nel porre rimedio. Se ha alzato la voce per mettere le mani avanti, in vista di complicazioni giudiziarie, come i soliti ammiccanti e bene informati dicono, ha perso tempo. Se, invece, presterà orecchio alle tesi di Davigo, condivise dalla maggioranza dei magistrati, che lo hanno eletto loro presidente, allora potrà rendersi utile, riconciliando potere e responsabilità.
I rimedi sono: a. separazione delle carriere (come in tutto il mondo civilizzato); b. cancellazione dell’obbligatorietà dell’azione penale. L’Anm strillerà, ma sarà facile rispondere: la politica non ha diritto di parlare di “giustizia a orologeria” ed è giusto che voi siate liberi nel fare il vostro lavoro, ma avendo a lungo studiato il diritto vi sarete accorti che le leggi non le fate voi, ma il Parlamento. Un procuratore ringhiante e severissimo, come Davigo, potrebbe anche essere benemerito. Ma quando comincia a perdere processi, non amministrati da suoi colleghi, lo si mette alla porta. Per incapacità.
Quelle due riforme risolverebbero anche il tema delle intercettazioni, perché a pubblicare i sospiri d’alcova per poi vedere gli accusati restare innocenti si propizia il proprio cambio di mestiere, ove l’accusatore abbia il compito di convincere un non collega a condannare l’imputato. Si può perdere una volta, si può perdere diverse volte, ma se si perde più di quanto si vinca, avendo scelto di accusare, manca la vocazione.
Renzi avrà il coraggio e la forza di fare cose così ovvie? Non credo. Vedo il brodino insipido messo a bollire sulle intercettazioni e m’accorgo che s’è imboccata la solita strada: minuscole interdizioni, che non cambiano nulla. L’essere accostati a Silvio Berlusconi, in questa materia, comporta un giudizio morale solo per gli stolti e i faziosi. Il guaio è riprodurne le polemiche improduttive, perdendo altro tempo e occasioni.
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