- Mauro Mellini
- Venerdì, 15 Aprile 2016
“De mortuis nihil nisi bonum” è antica, saggia e pietosa norma. Non s’ha da dire se non il bene.
Direi, però, che è altra cosa che la morte imponga di cambiare opinione, di dire il falso e di far diventare “buoni” i giudizi più duri espressi in passato.
Direi, però, che è altra cosa che la morte imponga di cambiare opinione, di dire il falso e di far diventare “buoni” i giudizi più duri espressi in passato.
Casaleggio con Grillo, fondatori del Movimento Cinque Stelle potranno essere assolti in vita ed in morte dall’accusa di aver fatto diventare cretini tanti italiani, dovendosi la loro responsabilità limitarsi all’aver fatto emergere, affiorare e assumere peso e, ahimè, potere, all’antipolitica ottusa e a scempiaggini antiche e nuove. Cosa che si può anche sostenere esser meglio si manifesti e, magari si organizzi, piuttosto che rimanere nascosta “sotto il tappeto” per essere poi comunque utilizzata da chi in politica meglio utilizza la retorica e vellica i peggiori sentimenti.
Di Casaleggio e di Grillo, uomini investiti di alte responsabilità istituzionali hanno detto di tutto e di più seppure, magari, senza esagerare.
Morto Casaleggio è stato compianto ipocritamente come un grande pensatore, un innovatore della vita politica del paese etc etc.
Bell’esempio di pietà e di perdono, si dirà.
Nessuno mi convincerà che ci sono e ci debbono essere dei momenti in cui la verità debba andarsi a nascondere per lasciare libero campo ai sentimenti.
Qui poi non si tratta di sentimenti ma di ipocrisia. Molta gente altolocata ha pensato che, morto Casaleggio fosse giunto il momento di spartirsene l’eredità, anticipando, virtualmente, il trapasso di Grillo. Eredità del movimento, eredità di voti.
E’ l’accorrere ipocrita di parenti, divenuti improvvisamente affettuosi ed indulgenti, al capezzale dell’auspicato morituro.
Ancora una volta possiamo riderci sopra, leggendo un bel sonetto di G.G. Belli:
ER TESTAMENTO DER PASQUALINO
Torzetto l’ortolano a li Serpenti
Prometteva oggni sempre ar zu’ curato
C’a la sua morte j’averia lassato
Cinquanta scudi e certi antri ingredienti
Prometteva oggni sempre ar zu’ curato
C’a la sua morte j’averia lassato
Cinquanta scudi e certi antri ingredienti
Quanto, un ber giorno, lui casc’ammalato;
E curreveno già quinici o venti
Tra pparenti e pparenti de parenti
A mostraje un amore indemoniato
E curreveno già quinici o venti
Tra pparenti e pparenti de parenti
A mostraje un amore indemoniato
Ecchete che sse venne all’ojo-santo;
E ‘r curato je disse in ne l’ontallo:
«Ricordateve fijo, de quer tanto…»
E ‘r curato je disse in ne l’ontallo:
«Ricordateve fijo, de quer tanto…»
Torzetto allora uprì du lanternoni,
E j’arispose vispo com’un gallo:
«Oggne oggne, e nu me rompe li cojoni»
E j’arispose vispo com’un gallo:
«Oggne oggne, e nu me rompe li cojoni»
6 aprile 1834
Con tutto il rispetto dovuto, naturalmente, al Presidente della Repubblica, ai Segretari dei partiti etc etc.
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