Conte, l’equilibrista sempre in bilico
Giovanni Belfiori - 6 giugno 2018
Prime pagine sui commenti al discorso del nuovo premier. E c’è chi lo paragona al Coniglio Mannaro della prima repubblica, Arnaldo Forlani
“Fiducia a Conte: siamo populisti”: il Corriere della Sera apre così la prima pagina di oggi, aggiungendo nel sommario che “Il premier apre a Mosca: rivedere le sanzioni. «Tagli alle pensioni d’oro, Daspo per i corrotti»”. Il blocco del titolo di Repubblica è “Conte: la Russia paese amico. E sui migranti sarà linea dura. Il premier ottiene la fiducia al Senato con 171 voti, 25 astensioni e 117 no. Liliana Segre sfida Salvini: mai leggi speciali sui rom”, mentre La Stampa sceglie “Conte si presenta: “Siamo populisti ma non razzisti” E apre alla Russia”.
Le parole non dette
Francesco Bei sulla Stampa accosta Conte a un personaggio manzoniano che, guarda caso, è il Conte Zio: il premier ha “la stessa attitudine del Conte Zio di Manzoni mira a «sopire, troncare, troncare, sopire» gli spigoli più acuminati dei due ingombranti azionisti della sua maggioranza. Un «parlare ambiguo, un tacer significativo, un restare a mezzo» che copre tutto (…) C’è l’elogio del Parlamento certo, ma non la difesa della libertà del parlamentare nei confronti del governo e dei partiti, una libertà che si esprime anzitutto attraverso il presidio liberale del divieto di ogni vincolo di mandato. C’è la definizione degli Stati Uniti come «alleato privilegiato», ma si invoca l’apertura alla Russia e la fine delle sanzioni. C’è la difesa degli immigrati, ma anche la promessa-minaccia di riorganizzare il sistema dell’accoglienza”.
Poi c’è il non detto, i temi “taciuti o sorvolati per titoli: la cultura, la scuola, l’abolizione della legge Fornero, il destino dell’Ilva, l’Alitalia. Per non dire del silenzio sui diritti civili, sulle nuove famiglie “arcobaleno” e sui loro figli”. E c’è il non detto sulle coperture, come sottolinea Dino Pesole sul Sole 24 Ore: “È un contratto «per il Governo del cambiamento», quello illustrato ieri dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che parte con alcuni omissis. Dall’euro, che avrebbe richiesto già nell’esposizione programmatica quanto poi Conte ha esplicitato in sede di replica (l’uscita dall’euro «non è mai stata in discussione»), al tema altrettanto decisivo delle coperture e delle clausole Iva. Si va dal «salario minimo orario» al reddito e alla pensione di cittadinanza, al debito pubblico che va ridotto azionando la leva della crescita. Obiettivo condivisibile a patto che si chiarisca in che modo si intende spingere sul pedale dello sviluppo per creare occupazione e lavoro stabile, con quali politiche economiche, industriali e fiscali”.
“Robespierre de noantri”
Il Manifesto ha in copertina una immagine con Conte che ha al suo fianco Salvini e Di Maio, titolo: “Sorvegliato speciale”. E Gian Antonio Stella, sul barcamenarsi di Conte fra il programma leghista e quello grillino, scrive sul Corriere della Sera un commento che evoca una delle figure più rappresentative della prima repubblica: Arnaldo Forlani. “Tener insieme le pretese dei grillini e le pretese dei leghisti, infatti, non sarà affatto facile. Certo, l’uomo scelto da Luigi di Maio e Matteo Salvini per fare, sia detto col massimo rispetto, il nobile servant dei due padroni, ha mostrato ieri al debutto nell’aula di Palazzo Madama, terreno di sanguinose battaglie parlamentari a dispetto di velluti e stucchi, di aver doti di trapezista. E dopo aver reso omaggio al presidente Sergio Mattarella «che rappresenta l’unità nazionale» (manco un applauso: muti) si è avviato sul filo del programma stando miracolosamente attento a non spostare il peso di un millimetro più in qua o più in là. I più anziani, ricordando le acrobazie di Arnaldo Forlani in mezzo agli amatissimi aspiranti sicari democristiani, dicono di vedere in lui qualcosa di quell’indimenticato «Coniglio Mannaro»”.
Sul Fatto Quotidiano, Tommaso Rodano paragona il premier a una lavatrice: “L’impressione che si ricava dal primo, lunghissimo discorso pubblico di Giuseppe Conte – 71 minuti e 24 secondi, più altri 30 di replica – è che di Maio e Salvini abbiano piazzato a Palazzo Chigi una lavatrice. Conte prende il programma di Lega e Movimento Cinque Stelle e ripulisce i panni sporchi sui temi più sensibili: euro, Nato, immigrazione. Il professore presta la sua immagine compita e il suo eloquio pacato e rassicurante -un pò rigido – ai due partiti che lo sostengono”.
Paolo Guzzanti sul Giornale ne dà una immagine da provinciale Robespierre: “(…) l’ambizioso cattedratico Giuseppe Conte ieri in Senato sembrava che parlasse a una convention aziendale anziché davanti a una Camera del Parlamento. E purtroppo quasi tutti gli interventi della sua parte sono restati sulla lunghezza d’onda corta: enfatici, rabbiosi, pieni di complessi, desolatamente banali. Il leader, che imbarazzo, si umettava con la lingua il dito per voltare pagina come un vecchio parroco o una vecchia zia, e levava poi lo tesso dito umido per zittire i contestatori come un don Abbondio arrabbiato.(…) Alza la voce fingendosi emozionato, ma si vede che manca di empatia, non parliamo della simpatia. Non cerca i sentimenti degli altri, ma pretende di imporre i propri. abituato, è accademico, è un giovane barone. Non ha sorriso mai. Neanche un cenno di leggerezza, un segnale di presenza di quella virtù democratica che è il senso dell`umorismo. Insomma, un Robespierre de noantri, un Saint-Just di periferia (…)”.
La reazione del PD
Tutti i quotidiani danno spazio alla risposta di Matteo Renzi.Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera scrive: “L’ex segretario aveva promesso di ritagliarsi un ruolo da mediano nel Pd, ma alla fine anche ieri ha indossato la maglia del numero io. (…) Nel bene e nel male e, a volte, suo malgrado, Renzi resta al centro della scena. E infatti Salvini, che subito dopo l’intervento di Conte era scomparso dall’aula, rientra proprio per ascoltarlo. Solo Di Maio ostenta una sdegnosa indifferenza. (…) secondo l’ex premier «Salvini e Di Maio sono le due facce della stessa medaglia». Ed è a loro direttamente che si rivolge, dopo aver detto a Conte: «Non avrete la nostra fiducia, ma avrete il nostro rispetto perché quando lei, presidente, andrà al G7, all’Onu o alla Ue, ci andrà con il tricolore a rappresentare l’Italia». Poi, il messaggio indirizzato al vicepremier grillino risuona forte e chiaro nell’aula: «Voi non siete lo Stato, siete il potere, non avete più alibi e noi non vi faremo sconti». E che cosa intenda per non fare «sconti» Matteo Renzi lo spiega poco dopo: «Noi faremo il nostro dovere di opposizione e inizieremo già la settimana prossima convocando la ministra della Difesa al Copasir per una cosa che ella sa bene». Parole che si riferiscono all’accusa lanciata dal Pd a Elisabetta Trenta di conflitto di interessi per i passati rapporti con una società di contractor. Anche con Salvini l’ex premier è duro: «Stia attento alle parole, non possiamo permetterci di creare un clima incendiario, polemiche e una crisi con la Tunisia. Salvini non è più solo un leader politico. Rappresenta un Paese. E io parlo al ministro dell’Interno da padre a padre. Ora che è responsabile della sicurezza nazionale, parli sapendo che i figli ci ascoltano». Quanto al futuro di questo governo l’ex premier è tranchant: «Il contratto è scritto con l’inchiostro simpatico e garantito da un assegno a vuoto»”.
Andrea Orlando, sul Manifesto, facendo riferimento alla dichiarazione orgogliosa di Conte di rappresentare il populismo, sottolinea che: “Il populismo, termine con cui definiamo cose diverse, ha il tratto comune di alzare le aspettative e poi, per nascondere il fallimento, provare a individuare dei nemici. Fondare due nazioni in uno stesso stato, dare la colpa all’altra. Colpa di una categoria di stranieri in patria, accanto agli stranieri. Lo hanno fatto Trump e Orban”.
Il commento / I muri della nuova Italia
Mario Calabresi su Repubblica mette in evidenza le nuove parole d’ordine del governo Conte: “in questa direzione nuova i riferimenti diventano la Russia di Putin e l’Ungheria di Orbàn, non importa se siano esempi di uno scadimento della democrazia e dei diritti umani, importa che parlino il linguaggio della sicurezza tanto caro a Matteo Salvini. La nuova Italia immaginata avrà i suoi muri, siano quelli delle nuove carceri o dei centri dove tenere i migranti che sperano di ottenere lo status di rifugiati, e guarda a una nuova Europa che sia fortezza per contenere chi già ci abita. Pazienza se il continente invecchia e non è capace di tenere il passo dell`innovazione e della crescita, pazienza se quasi la metà delle prime 500 grandi aziende americane sono state fondate da immigrati di prima o seconda generazione, la priorità oggi è difendersi dalla diversità che spaventa, costi quel che costi. L’avvocato difensore degli italiani, il portavoce del contratto, ha la spensierata sicurezza dell’uomo nuovo, sa che deve convivere con i due veri premier di questa maggioranza e sa che il suo di contratto prevede la capacità di stare un passo indietro. A dettare le regole sono i patti tra i due partiti. Tanto che le sue linee guida le esplicita con chiarezza: ascolto, esecuzione e controllo”.
Nessun commento:
Posta un commento