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mercoledì 4 settembre 2013

Il perenne stato di marasma del Pd

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! di Redazione
@ragionpolitica.it
  

venerdì 09 agosto 2013
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E' inevitabile quanto la legge di gravità universale o la manifestazione di un attacco di malaria: ogni volta che un qualunque segretario del PD richiede un «passo indietro» al leader del centrodestra il primo risultato che ottiene consiste sempre, puntualmente, nel coagularsi di una folla vociante di colleghi più o meno assortita che ritengono loro buon diritto (Deus lo vult...) il fare uno o più passi in avanti. Come in una sorta di tragicomico contrappasso basta che Epifani chieda il famigerato «passo indietro» a Berlusconi per vedere, nel volgere di pochi quarti d'ora, il proliferare di comizi, conferenze stampa, esternazioni dei «malpancisti», interviste a quelli che «siamo con Letta in tutto e per tutto ma...» (e quindi non sono con Letta in nulla di nulla), «giovani turchi» che affilano le scimitarre, pippi e Civati che assumono connotati messianici e proludono la loro personale versione del Discorso della Montagna (solitamente inascoltati).
Tutti pronti, insomma, dalle parti del PD a fare un bel passo avanti! Nel solo ed esclusivo «interesse del paese», sia chiaro: a quelle latitudini non esistono bassezze quali l'interesse personale, la smania di potere, le operazioni di infima bottega per consolidare o aumentare un poco di residuale consenso. L'algida e adamantina torre d'acciaio che era il PCI, insomma, caratterizzata dalla vigenza di una disciplina da samurai si è trasformata nel corso degli anni e mai come ora in un colossale Suq a fine Ramadan, nel quale terminata la «quaresima» i mercanti gridano a gran voce pregi e qualità delle rispettive merci, ciascuno cercando ad ogni costo di sovrastare le urla dei concorrenti. Sembra paradossale, ma è esattamente così: un momento di difficoltà critica vissuto dal grande avversario diviene in automatico legittimo movente per scatenare una vera e propria guerra civile (tutt'altro che «fredda») nel campo dei «vincitori» ex autoritate iudicis (e non «populi», sia chiaro), per accendere focolai di rivolta in tutto lo Stivale, per legittimare rese dei conti a più livelli maturate e macerate nel corso degli anni.
Il balletto delle neonate convergenze parallele ne é ulteriore dimostrazione: acerrimi nemici cercano abboccamenti e si stringono la mano destra, facendo con tutta probabilità gesti apotropaici qui irriferibili con la sinistra. Piccoli signori della guerra quasi disgregati dall'inconsistenza percentuale dei loro partiti personali così come da grane pesantissime in suolo patrio, vedi Nichi Vendola, aprono ai «douloplokoi» dal multiforme ingegno come Matteo Renzi, una volta odiato e temuto e oggi...pure! Con la sostanziale differenza che il carro del personaggio collodiano, del Pinocchio vanesio primo cittadino di Firenze, pare già olezzare di vittorioso alloro e allora...perché no? Solo gli stupidi non cambiano mai idea, recitava un vecchio (e veritiero) adagio popolare. Renzi che, per altro, sta scalciando e scalpitando per evitare di essere consegnato anzitempo all'oblio dal suo stesso partito, oltre che per patente (e legittima, per carità...) ambizione personale: il suo ultimo tour emiliano ha mostrato un cambiamento significativo nella strategia comunicativa da lui adottata, mascherando abilmente l'abituale piglio da discolo spaccavetri sotto una eccellente patina retorica densa di accenti lirici, infarcita di riferimenti alla vittoria, al «cambiamento di fase» (avrà riletto Berlinguer di recente...), oltre che di messaggi assai poco trasversali e molto diretti a Enrico Letta, suo futuro concorrente alle primarie.
Già: le primarie, croce e delizia del popolo progressista che «ben pensa». Parolina magica che negli intenti di Walter Veltroni, suo ideatore e propugnatore, doveva risvegliare nel popolo «dde sinistra» chimere kennedyane: un nuovo senso di appartenenza, una nuova, popolar-mondialista, concezione di militanza, un marcare in maniera ancor più profonda la differenza politica, civile, antropologica tra «noi» e «loro». Ad essere proprio gentili, possiamo tranquillamente dire che non solo l'obiettivo non è stato raggiunto, ma addirittura le conseguenze sono state opposte rispetto agli intenti iniziali. Riprova ne é il fatto che dopo circa un anno dalla «consacrazione» di Bersani, nuovo Pirro del 21esimo secolo, la situazione oggi non è mutata di una virgola: Renzi chiede regole altrimenti non si candida, l'establishment è ben felice di non adempiere a tale richiesta perché non vuole che egli si candidi, e, al limite, ha già pronto il «piano B», ovvero abrogare la «unione personale di corona», cioè separare la figura di Segretario Nazionale, eletto attraverso il giocattolino kennedyano delle primarie, dal candidato Premier, individuato in maniera «diversa» (consultando un oracolo, forse?).
Ad aumentare il già plasmatico stato di marasma, ad allungare questa tumultuosa brodaglia primordiale di sapore incerto provvede poi il direttivo del PD, che prima individua nel 21 novembre la data di convocazione dell'Assemblea Nazionale, poi nel 22, quindi nel 24 direttamente la data delle primarie per bocca di Marina Sereni subito sconfessata dalla segreteria che ha sottolineato come solo l'Assemblea possa individuare legittimamente la date delle consultazioni. Una infinita danza delle ore (delle date, meglio) che provoca amareggiato scoramento in Pippo Civati, il quale afferma «se la situazione precipita, forse le primarie nemmeno si fanno...». Un'ipotesi che, non dubitiamo, sconvolgerà di dolore una buona metà di cittadini italiani. Almeno quei cittadini italiani che non si curano di quisquilie quali la vessazione da IMU, il decremento spasmodico del mercato interno, l'impossibilità di accesso al credito bancario e altre bagatelle di tal fatta.
In conclusione, la sinistra commette per l'ennesima volta il medesimo errore di sempre: considera il Cavaliere morto e sepolto. Dà per scontato che la sentenza della Cassazione sul caso Mediaset abbia rimosso per sempre il loro principale avversario e che l'accaduto sia ormai consegnato alle pagine della storia. Un trauma già superato sul nascere del quale non ci si deve più occupare. Un errore madornale per due diverse ragioni: in primo luogo, anche alla luce dell'inquietante caso Esposito, la questione può dirsi, in fatto e in diritto, tutt'altro che conclusa. E un PDL che sfiora nuovamente il 30% nei sondaggi sta lì a dimostrarlo. In secondo luogo l'avere anzitempo archiviato il Cavaliere come politicamente defunto ha fatto crollare l'unico argine che teneva assieme le innumerevoli correnti interne al PD, partito che ormai non ha più, nei fatti, un'organizzazione verticale ma assolutamente orizzontale (vuoi anche per la presenza di un Segretario pro-tempore, di transizione, la cui autorità e la cui autorevolezza sono quotidianamente, e parecchio in malafede, messe in discussione), ovvero nell'ambito della quale chiunque, in qualunque momento può avanzare qualunque pretesa. Un partito magmatico, attualmente acefalo, quindi, ma, al contempo privo anche di coda, all'interno del quale la dialettica che si sviluppa è una e una sola, di matrice Khmer: guerriglia permanente.

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