Powered By Blogger

mercoledì 4 settembre 2013

La cecita' politica e l'autodistruzione del Pd

  PDF Stampa E-mail
di Francesco Natale
natale@ragionpolitica.it
  

giovedì 22 agosto 2013
epifani1.jpg
L’odio pregiudiziale e il livore ideologico, soprattutto se mascherati da quell’evanescente e nebuloso concetto del cosiddetto «interesse superiore», portano, inesorabilmente, alla colpevole cecità prima, all’autodistruzione poi. La cecità che sta manifestando il PD in questi giorni, con poche lodevoli eccezioni ad oggi inascoltate, è peggio che colpevole: rasenta il criminale.
Oggetto della contesa, ovviamente, è la sentenza della Corte di Cassazione pronunciata dal giudice Antonio Esposito. Una sentenza che possiamo tranquillamente definire aberrante dal punto di vista sostanziale, se non formale. Questo per una semplice ed evidente ragione: l’atteggiamento pregiudiziale del giudice nei confronti di Silvio Berlusconi è un fatto inequivocabile. E’, purtroppo, realtà. Sulla quale è perfettamente inutile abbandonarsi a interpretazioni più o meno apologetiche. A quanto riportato dal «Mattino» , con tanto di registrazione annessa, e da Stefano Lorenzetto sul «Giornale» qualche settimana fa si aggiungono le testimonianze di Massimo Castello e Franco Nero, il noto attore certamente poco simpatizzante, per usare un eufemismo, del Cavaliere. Dichiarazioni agghiaccianti pronunciate con la massima tranquillità da Esposito durante una cena a casa di Castello nel 2011. Quelle che fino a ieri erano solo ombre, piuttosto dense in verità, su quella famigerata Camera di Consiglio durata più di sette ore, acquisiscono ineluttabile concretezza.
Il pregiudizio nei confronti del presunto reo (perché a questo punto è doveroso parlare di presunzione di colpevolezza) non dovrebbe essere messo in in discussione. Ma, e qui sta il nucleo della farsa in cui il Partito Democratico sta recitando il ruolo di protagonista, «le sentenze si rispettano», specialmente quelle passate in giudicato. Un comodo sofisma che, negli intenti degli esponenti democratici, fornisce un inattaccabile scudo ed esime da ogni possibile responsabilità politica. Vero è, questo sì, che in apparenza non esistono strumenti efficaci di difesa sul piano giudiziario per sindacare una sentenza della Suprema Corte se pur indiscutibilmente viziata fin dall’origine. E questo dovrebbe indurci a comprendere, oggi come non mai, quanto sia necessaria una radicale riforma della giustizia.
Ma, e qui sta il punto critico reale, la politica ha la possibilità e il dovere di agire responsabilmente al fine di temperare quello che a tutti gli effetti è un orrore giudiziario: che senso avrebbe, infatti, l’esistenza stessa della Giunta per le Autorizzazioni se quest’ultima avesse il solo scopo di accogliere supinamente le sentenze della magistratura? Se tale procedura di «deliberazione», diciamo impropriamente, fosse un semplice automatismo che scopo avrebbe, in realtà, suddetta Giunta? Gli elementi che rendono doveroso il rigetto totale della richiesta di decadenza del Senatore Berlusconi ci sono tutti, a cominciare dalla patente non retroattività della Legge Severino per arrivare alle dichiarazioni del Giudice Esposito. Dichiarazioni, per altro, che dovrebbero indurre tutti ad una seria riflessione: poiché non si tratta di semplici esternazioni improvvidamente sfuggite di bocca e colte casualmente da qualche «paparazzo» malandrino, bensì di parole pronunciate in piena coscienza che implicano un senso di «outrance» assoluto. La piena cognizione di essere, in quanto giudice di Cassazione, impunibile, intoccabile, insindacabile. Casta allo stato puro. Un atteggiamento intollerabile che desta allarmante preoccupazione per tutti i cittadini, i quali, come è comprensibile, non nutrono più alcuna fiducia nei confronti di una magistratura che fa dell’anticipo di motivazioni a mezzo stampa, delle «fughe di notizie» pilotate, di sentenze già scritte e tenute nel cassetto, del mercato dei cosiddetti «collaboratori di giustizia» la propria cifra distintiva. Il tutto senza che gli organi preposti alla giurisdizione domestica censurino, perseguano, puniscano. Un potere assolutamente fuori controllo il quale, per sommare beffa al danno, pure si vanta della propria totale immunità, al punto da esternare dichiarazioni palesemente sprezzanti.
Eppure la classe politica democratica, anziché prendere atto della realtà e, perlomeno, sospendere giudizio in attesa di sviluppi come elementare prudenza imporrebbe, finge di non vedere: si trincera dietro al «rispetto delle sentenze» mettendosi così la coscienza in pace. Anche di fronte a «sentenze» che, palesemente, tutto meriterebbero tranne il rispetto. Un atteggiamento assolutamente irresponsabile che, dietro alla patina (già parecchio ossidata…) del formalismo, non riesce a celare l’entusiasmo autolesionista nel vedere il Cavaliere disarcionato.
Con quali mezzi e quali modalità non importa: l’importante è dare il nemico storico in pasto alla base che da decenni ne chiede la testa. Dopo si vedrà. Già: il «dopo». Un «dopo» che si preannuncia già ora disastroso: in mancanza di una assunzione di responsabilità seria e doverosa da parte dell’esecutivo Letta è poco probabile che il governo duri. Ipotesi drammatica per il paese ma, purtroppo, accarezzata da molti esponenti del PD che vedrebbero nel prepensionamento di Letta la situazione ideale per dare libero sfogo alle rispettive (e brutalmente confliggenti) ambizioni personali. Senza contare che la caduta intempestiva dell’attuale esecutivo metterebbe alle corde pure Giorgio Napolitano, le cui dimissioni sarebbero a quel punto quasi automatiche.
Un dilaceramento istituzionale su più livelli indubbiamente auspicato da coloro che non vedono l’ora di mettere Prodi o Rodotà al Quirinale. Con le conseguenze che tutti possiamo immaginare. Un colossale errore politico, in definitiva, del quale la prima vittima sarebbe il soggetto che ha effettivamente il proverbiale «cerino in mano», ovvero il Partito Democratico: un pollaio con troppi, innumerevoli galli, tutti pronti a far fuori i concorrenti «nell’interesse del Paese». Una guerra aperta nella quale, pur di conseguire il «trionfo» personale, non esistono alleanze impossibili, pericolose o impraticabili, non esiste prezzo politico (che pagheremmo noi, ovviamente) troppo alto o troppo inaudito. Una guerra aperta interna al massimo partito della sinistra che ridurrà l’Italia in macerie. C’è purtroppo chi si accontenterebbe di regnare, incontrastato, su queste ultime…

Nessun commento: