La svolta governista del M5S







Molti segnali indicano che il Movimento 5 Stelle stia rapidamente tentando di cambiare pelle. L’inaspettato allontanamento di Beppe Grillo, con tanto di creazione di un suo nuovo blog, la decisione di non ricandidarsi da parte di Alessandro Di Battista, il più ortodosso dei grillini di vertice, unita alla scelta di non entrare in un futuro governo a Cinque Stelle, il nuovo statuto e la sostanziale introduzione del metodo delle cooptazioni nella selezione di candidati alle elezioni del 4 marzo sembrano andare nella direzione di una svolta governista di questo partito. Svolta che continua a trovare conferme, nonostante le parziali smentite di Luigi Di Maio al riguardo, nelle recenti dichiarazioni del capo politico dei grillini espresse di fronte ad alcuni importanti investitori della City di Londra.
Se così fosse, tutto ciò rientrerebbe nella normale evoluzione politica e organizzativa di qualunque partito o movimento rappresentato in Parlamento. Evoluzione, si badi bene, che si basa sui principi più elementari che regolano da sempre la natura umana e che, soprattutto per gente miracolata che dalla strada si è trovata catapultata su un comodo scranno parlamentare, spinge qualunque paladino del popolo, o presunto tale, a seguire con logica inesorabile il seguente motto attribuito al grande Thomas Hobbes: “Primum vivere, deinde philosophari”.
Ciò significa, per dirla molto sinteticamente in soldoni, che la naturale e assolutamente comprensibile inclinazione di ogni individuo sano di mente ad anteporre i propri interessi a quelli dell’indistinta collettività, non poteva non prevalere anche dentro il M5S, portando i suoi cosiddetti portavoce a rinsaldare la propria indubbia posizione di privilegio raggiunta attraverso una rocambolesca quanto fortunosa selezione. Da qui ne consegue, osservando la questione in rapporto alla confusa situazione politica italiana, che se l’appena consolidato establishment pentastellato ambisce ad avere un futuro che vada oltre la demagogica regola dei due mandati, non può che fare di tutto per fornire al Paese, e in primo luogo a se stesso, una sorta di copertura assicurativa contro la sciagurata possibilità di tornare rapidamente alle urne.
Al di là delle chiacchiere e dei distintivi ancora ostentati, l’unica possibilità che Di Maio e soci hanno per restare in pianta stabile e da protagonisti nel teatrino della politicaccia italiota è quella, all’occorrenza, di tenere a galla il prossimo Parlamento il più a lungo possibile. Costi quel che costi!