- Michele Marsonet
- Venerdì, 14 Febbraio 2014
Eppure, fino all’altro ieri, Renzi diceva sorridendo ai suoi tanti intervistatori che il governo Letta non correva alcun pericolo, e che un cambio dell’esecutivo in questo momento sarebbe stato conveniente per lui ma non per l’Italia. A seguire una serie di dichiarazioni in cui prevaleva il senso di responsabilità nei confronti del Paese.
Vorrei subito chiarire che qui non è in gioco il giudizio su Enrico Letta, sui suoi ministri e la compagine governativa da lui guidata. E’ noto che tale giudizio è in gran parte negativo, direi quasi all’unanimità. Le accuse di immobilismo si sono susseguite negli ultimi mesi a ritmo pressoché costante, unite ai pressanti inviti a muoversi, a far presto, a dare segnali forti all’opinione pubblica nostrana e internazionale.
Tuttavia ciò che sta accadendo è a dir poco stupefacente. Non solo il sindaco (credo ormai ex tale) di Firenze ha smentito con i fatti le dichiarazioni di cui sopra. Ha pure mandato a gambe all’aria l’intero quadro politico costringendo tutti a riposizionarsi, più che in fretta, all’istante. Ormai anni e mesi non contano, si ragiona sulla base dei giorni o – ancor meglio – dei minuti.
Matteo Renzi sembra posseduto da una voglia terribile di sedersi subito sulla poltrona di premier per “uscire dalla palude” e iniziare finalmente il nuovo corso di cui parla sin da quando ha iniziato ad affacciarsi sulla scena della politica nazionale.
Qualcuno però ha capito davvero in cosa consista tale nuovo corso? Chi scrive confessa candidamente di non averlo compreso e, stando ai commenti su giornali e TV, è in numerosa compagnia.
Stupisce la facilità con cui la stragrande maggioranza del PD ha accettato il cambio di rotta in pratica senza fiatare, ivi inclusi esponenti di primo piano che pure avevano osteggiato Renzi con forza fino all’ultimo istante.
E stupisce ancor più che un uomo mai eletto in parlamento venga catapultato improvvisamente a Palazzo Chigi.
Poiché un dato è certo. A parte gli anni – ma neanche troppi – trascorsi a Palazzo Vecchio come sindaco del capoluogo toscano, l’unica vittoria elettorale conseguita dal nostro è quella decretata dai gazebo in cui si sono svolte le primarie del Partito Democratico. Vittoria certamente corposa, ma limitata a una parte ben circoscritta del Paese.
Dobbiamo dedurne che, ormai, è sufficiente vincere le primarie PD per diventare primo ministro? Sembra proprio di sì, poiché sono i fatti ad attestarlo. Ma, allora, è necessario trarre ulteriori deduzioni.
Il parlamento sta diventando, più o meno, inutile. Si limita a registrare quanto avviene altrove. Inutili pure le elezioni politiche (intendo quelle vere, non le primarie di un partito). La volontà del corpo elettorale nella sua interezza si rivela ogni giorno di più un orpello, un semplice accessorio dal quale è meglio prescindere per evitare eventuali complicazioni.
Penso sia ingeneroso attribuire al solo politico toscano, e alla sua smisurata ambizione, tutte le colpe. Renzi non è la causa, bensì la conseguenza di una situazione anomala che stiamo vivendo ormai da troppo tempo. L’Italia si trova in uno “stato di eccezione” da anni, e le vere colpe vanno ricercate nell’incapacità della classe politica di restare in sintonia con il Paese reale.
Si percepisce ovunque la voglia dell’uomo “forte”, in grado di rovesciare cinicamente la parola data, di imboccare qualsiasi scorciatoia pur di raggiungere i propri obiettivi. Ora però siamo arrivati al dunque, giacché Matteo Renzi dovrà dimostrare di essere “forte” sul piano dei fatti e non solo a livello d’immagine.
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